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Prevenire il suicidio in carcere: scommettere sulla vita

Dall’inizio di quest’anno, 16 detenuti si sono tolti la vita nelle carceri italiane. Nel 2023, sono stati registrati 69 suicidi, dopo il picco del 2022, con 85 casi. Quando il senso di fallimento e l’intollerabilità della detenzione portano a scegliere la morte, è la stessa vocazione riabilitativa del carcere a fallire. La luce della speranza deve restare accesa nelle case circondariali, in primo luogo alimentata dalla riflessione sul mondo penitenziario.

Nel 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un report sulla salute mentale nelle carceri europee. Stress, isolamento, depressione, stigma, violenza, precarie condizioni igienico-sanitarie e un difficile accesso alle cure sono correlati a un’alta prevalenza di disturbi mentali (32,8%). Il disagio si trasforma in abuso di psicofarmaci, in particolare antipsicotici, usati anche a scopo sedativo. Dal report emerge che la prima causa di morte resta quella per suicidio. La migliore prevenzione è l’educazione e l’umanizzazione del circuito carcerario.

Prendersi cura delle persone passa per la cura degli spazi, alla luce della neuro-architettura e della relazione tra ambiente e benessere interiore. Il sovraffollamento nelle carceri è l’occasione per riformarle nell’ottica dell’architettura, più che dell’edilizia penitenziaria. La logica della sicurezza deve sempre accompagnarsi a quella riabilitativa di ambiente educante, rispondendo ai bisogni fisiologici, psicologici e relazionali dei detenuti. Lo spazio non è solo un contenitore, ma partecipa ai processi cognitivi, favorendo armonia e sostenibilità.

Anche la dimensione del tempo gioca un ruolo nel benessere. I giorni in carcere scorrono lenti. Si riempiono di ricordi, inizialmente, per poi rischiare di svuotarsi, nella ciclicità schematica di una routine meccanica. Nella deformazione temporale, ogni pena può sembrare un ergastolo. Questo è, invece, il tempo prezioso per l’apprendimento. Fondamentali sono i percorsi per migliorare autoefficacia, consapevolezza e regolazione emotiva. Fondazione Patrizio Paoletti diffonde interventi neuropsico-pedagogici per potenziare la resilienza dei detenuti. L’intera comunità carceraria necessita di supporto, compreso il personale educativo, impegnato in prima linea nell’iter penitenziario. Tutti i protagonisti della sfida riabilitativa, detenuti, famigliari e operatori, necessitano di riscoprirsi vicendevolmente come essenziali. È insieme che si riparte, onorando la dignità e il valore imprescindibile della persona, dei talenti, delle risorse positive interiori e delle relazioni.

La salute mentale si costruisce anche col silenzio consapevole, la cui pratica apporta importanti benefici psicofisici. Il training basato sul silenzio in carcere potenzia le capacità di coping, gestione delle emozioni e pianificazione del futuro. La consapevolezza di poter determinare il futuro e la capacità di sognarlo dà un senso all’esperienza detentiva. Prefigurare il futuro aiuta a vivere il presente come un’opportunità di riscrittura continua, verso nuove e migliori versioni di sé.

Il carcere non è il luogo dove perdere la vita: è il luogo dove scommettere sulla vita, sulla riparazione e sul futuro. Oggi è il tempo per prefigurare il futuro. Oggi possiamo sostenere l’educazione, che riduce le strade che vanno in carcere e ne costruisce infinite per viverci e uscirne migliori.

 


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Bibliografia
  • Fine pillola mai (2023). Altreconomia.
  • World Health Organization (2023). Status report on prison health in the WHO European Region 2022 https://www.who.int/europe/publications/i/item/9789289058674
  • Grimolizzi, G. (2024). Per avere carceri più umane c’è bisogno dell’architettura e non dell’edilizia penitenziaria. www.ristretti.org
  • Foa, V. (1949). Psicologia carceraria. Il Ponte – Rivista di politica economia e cultura fondata da Piero Calamandrei, anno V, n. 3.
Bibliografia

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