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Quando la solitudine è positiva: intervista a Tal D. Ben-Soussan, direttrice del RINED

Intervista a Tal Dotan Ben-Soussan sui benefici di un buon tempo di qualità da soli

Soffrire la solitudine è un fattore di rischio per la nostra salute globale. Aumenta l’incidenza di malattie cardiovascolari, ipertensione, disturbi del sonno e persino la mortalità. Eppure, esiste anche una solitudine positiva, cercata e intenzionale, che apporta benessere, consapevolezza e introspezione. Quali sono le sue caratteristiche e come coltivarla? Lo chiediamo alla Dott.ssa Tal Dotan Ben-Soussan, direttrice dell’Istituto di Ricerca RINED di Fondazione Patrizio Paoletti.

Le due facce della solitudine

Tra iperconnessione e vita virtuale, spesso anche lavorativa, la solitudine è una sfida del nostro tempo, che coinvolge anche i genitori e i giovani. La solitudine, ossia il sentirsi soli, anche in assenza di un vero isolamento sociale, indebolisce il sistema immunitario e incrementa l’infiammazione. Quando si cronicizza, è collegata a depressione, ansia e declino cognitivo, compreso un maggiore rischio di demenza. Nel tentativo di compensarla, possono insorgere comportamenti disfunzionali, come il fumo o l’abuso di alcol e sostanze. Eppure, in un’epoca di continua reperibilità digitale, tra notifiche e condivisione social, la solitudine può anche essere scelta consapevolmente, come un momento per se stessi. Trovare il tempo per stare da soli diventa un modo per cercare il silenzio interiore, dirigendo l’attenzione verso di sé. La solitudine si trasforma allora in ascolto interno e accogliente, in una cura dal rumore della corsa quotidiana. Non si tratta di una fuga dal mondo sociale o dalle relazioni. Piuttosto, è una scelta consapevole per coltivare benessere, per poi rientrare, migliori e rigenerati, nella rete dei rapporti con gli altri.

Componente preziosa della solitudine positiva è il silenzio intenzionale, protagonista anche nell’esame di maturità 2024. Una delle tracce per la prima prova scritta invita gli studenti a riflettere proprio sul silenzio. Lo spunto di partenza proposto dal Ministero è il brano della giornalista e saggista Nicoletta Polla-Mattiot “Riscoprire il silenzio. Arte, musica, poesia, natura tra ascolto e comunicazione continua”. I ragazzi raccontano e interpretano l’opportunità del silenzio, in una realtà sempre più rumorosa, frenetica e ridondante di informazioni. Si medita e argomenta sul valore dello spazio in un quadro, delle parole e delle pause in una poesia, nella musica e nella vita. L’esame stesso diventa occasione di raccoglimento silenzioso, su quei banchi che si fanno trampolino per il futuro e l’età adulta. L’istituto di ricerca RINED studia i benefici del silenzio da un punto di vista neuroscientifico. Al tema, di fondamentale importanza per la nostra salute, la Fondazione Patrizio Paoletti dedica ICONS, conferenza internazionale sulla neurofisiologia del silenzio.

Cerchiamo di comprendere meglio cos’è e come coltivare la solitudine positiva, con Tal Dotan Ben-Soussan, direttrice dell’Istituto RINED. Tal sta curando il terzo libro sulla Neurofisiologia del Silenzio, per la prestigiosa collana Progress in Brain Research. Il volume contiene ricerche empiriche e review che trattano il tema di silenzio e di come la meditazione o guardare opere d’arte possa influenzare il nostro benessere fisico e mentale, la nostra creatività e il livello di attenzione.  Il libro conterrà un capitolo di Rui Miguel Costa Silence between sentences: Is solitude important for relatedness? (Il silenzio tra le frasi: la solitudine è importante per la relazionalità?). Riflettiamo insieme su questo contributo e sulle diverse sfaccettature della solitudine.

Oltre ai documentati rischi per la salute, ci sono altri pericoli nascosti nella solitudine?

Sì, uno dei pericoli della solitudine è la mancanza di confronto con altre opinioni e dati. Ciò sta diventando sempre più importante, man mano che i social media diventano sempre più segreganti. È molto importante cercare e incontrare altre opinioni, diverse dalle nostre. Accogliere la discussione mantiene vivo il nostro pensiero critico e la nostra creatività. Stiamo facendo una ricerca con l’Università La Sapienza di Roma condotta da Stefano Lasaponara su questo tema. Se volete partecipare a questa ricerca siete i benvenuti: https://ww2.unipark.de/uc/FACT/.

Esiste una solitudine anche positiva e come la riconosciamo?

Sì, assolutamente. Possiamo riconoscerla quando passiamo dei bei momenti da soli, con noi stessi, ma, allo stesso tempo, non ci sentiamo soli. Non li viviamo, quindi, con sofferenza. Questa tipologia di solitudine è preziosa per la nostra salute mentale, l’introspezione, la creatività e persino per una buona relazionalità. Aumenta il nostro senso di benessere, la soddisfazione, la consapevolezza e il buon umore.

Come cambia la qualità del nostro pensiero, quando passiamo un buon tempo di qualità da soli?

Nella solitudine positiva diventiamo più introspettivi e consapevoli. Da una parte, siamo maggiormente in contatto con la nostra realtà interiore, affetti ed emozioni. Dall’altra, possiamo coltivare uno sguardo più razionale sul mondo che ci circonda. Aumenta anche la nostra capacità immaginativa e di “sognare ad occhi aperti” in modo intenzionale. Questo comprende il “sognare i rapporti”, riflettendo sulle relazioni sociali, migliorando la comprensione degli altri e le nostre emozioni e sentimenti nei loro confronti.

 


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Questa solitudine di qualità può anche aiutarci da un punto di vista esistenziale o spirituale?

Sì, certo. La solitudine ci rende più intuitivi, percettivi e ricettivi, in grado di vivere degli importanti insight sul senso della vita. Stare da soli modula il nostro ego, rendendoci più aperti a sperimentare una consapevolezza espansa. Questa può favorire la neuroplasticità e l’adattamento.

Come possiamo imparare a praticare la solitudine positiva, se sentiamo forte il bisogno di stare in compagnia?

Non è sempre facile riuscire a stare bene da soli. Viviamo il desiderio della connessione sociale e, inoltre, siamo bombardati dalle stimolazioni digitali. In certi casi, sperimentiamo una vera e propria dipendenza dalla connessione digitale. Educarci a una sana solitudine è un percorso dolce che deve iniziare dall’infanzia e dall’adolescenza. Possiamo aiutarci, per esempio, cercandola in mezzo alla natura, lontani dalle stimolazioni sociali o urbane. Silenziando il cellulare, naturalmente.

 


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Bibliografia
  • Costa R. M. (2024) Silence between sentences: Is solitude important for relatedness, Neurophysiology of Silence, Progress in Brain Research (Eds. TD Ben-SoussanJ GlicksohnN Srinivasan), Elsevier.
  • Richard, B. (2024). Why loneliness is bad for your health. Nature628, 23.
  • Taylor, H. O., Cudjoe, T. K., Bu, F., & Lim, M. H. (2023). The state of loneliness and social isolation research: current knowledge and future directions. BMC public health23(1), 1049.
Sitografia
  • https://en.m.wikipedia.org/wiki/Progress_in_Brain_Research
  • https://www.sciencedirect.com/bookseries/progress-in-brain-research.
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