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La voce di Cristina: il bullismo e le dinamiche di integrazione lette attraverso la consapevolezza raggiunta oggi

Viviamo oggi un contesto di grande fragilità associata ai nostri giovani, amplificata dal distanziamento sociale, dall’incertezza e dal clima di paura alimentati dalla pandemia. Elementi che hanno avuto un forte impatto sul disagio psichico e sul benessere mentale di ogni adolescente. Migliaia di famiglie denunciano ogni giorno un profondo bisogno di aiuto e il sistema delle cure della neuro-psichiatria infantile e giovanile è messo in crisi. Solitudine e isolamento sono a loro volta alimentati da un altro grande fenomeno, quello del bullismo e del cyberbullismo.

Nel mondo infatti sono 246 milioni i bambini e adolescenti che subiscono una qualche forma di bullismo a scuola: 1 studente su 3 vive esperienze di bullismo durante il proprio percorso scolastico. Dai dati di ricerca di Fondazione Patrizio Paoletti dal titolo “Focus adolescenza: sfide e risorse positive nel post-pandemia” recentemente presentati presso la Camera dei Deputati, il bullismo risulta infatti essere la parola più citata da 968 ragazzi intervistati e una tra le 4 sfide percepite più importanti.

Per questo, oggi vogliamo raccontarti la storia di Cristina. E del contributo della ricerca di Fondazione Patrizio Paoletti necessaria per riconoscere i segnali e progettare azioni di prevenzione e contrasto efficaci e permettere a migliaia di giovani adolescenti di uscire dal buio del disagio mentale.

Mi chiamo Cristina e ho diciott’anni.

Sono una ragazza di origini rumene cresciuta in Italia. Sono stata bullizzata da quando ero piccola, dalle elementari, è una cosa che c’è stata quasi sempre. Ci sono sempre state persone che mi hanno presa di mira.

Il bullismo è stato ed è una costante nella mia vita: c’era quando ero piccola, c’è ancora adesso. Delle volte mi chiedo perché, sconfortata. Non ho mai parlato male degli altri e non ho mai toccato gli altri, però gli altri toccano me e parlano male di me. È difficile, poi pensare di chiedere un reale e veloce aiuto: i professori a volte non se ne accorgono, perché chi bullizza lo fa in una maniera che i professori non riescono a comprendere. Chi è vittima, come me, tende a non parlare, a difendersi chiudendosi.  Non posso andare sempre dal professore e dirgli: “Guarda quella compagna di classe dice cose di me non vere e mi sta escludendo dal gruppo!”.  Anche con la mia famiglia ho tentato di nascondere la mia sofferenza.

FOCUS ON: Come riconoscere il bullismo?

Il bullismo è caratterizzato da dinamiche abusanti complesse, segnate da azioni prevaricanti fisiche, verbali, psicologiche, ripetute nel tempo, con fissità dei ruoli. È una devianza sociale che si manifesta in un sistema di relazioni. Ecco alcuni suggerimenti per riconoscere e differenziare scherzo, litigio, crimine/reato. Lo scherzo è tale se è un fenomeno isolato, è in una relazione simmetrica, tra pari. Non ha intenzione di ferire. Genera emozioni positive in tutti. Ammette reciprocità. Il litigio invece è un evento che nasce da una incomprensione, una differenza, una competizione. Vive della compresenza di emozioni negative «alla pari». Non si ripete nel tempo. Infine il crimine/reato è una vera e propria infrazione delle leggi del codice penale che tutelano la sicurezza dei singoli e l’integrità del sistema sociale.

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Io le cose me le tengo dentro. Ma quando sento che qualcuno mi ascolta e inizio a parlarne, potrei andare avanti per ore, per giorni. L’anno scorso, ad esempio, ho fatto amicizia con un ragazzo che è diventato mio amico, un amico che ho tutt’ora, l’unico: tutti quanti se la sono presa con noi perché lui ha fatto amicizia con una ragazza come me, rumena! Tutta la classe si è messa contro di noi. Anche se io volevo fare amicizia con gli altri, c’era un qualche cosa che mi bloccava. Questo non mi ha aiutato e non mi aiuta ad avere fiducia in me stessa, nel senso che quando voglio fare qualcosa ho sempre paura di non farcela, ho sempre paura di iniziare a fare qualcosa. E anche paura di essere giudicata, che mi venga detto che non so fare nulla.

FOCUS ON: Quali sono gli effetti del rifiuto sociale sul cervello dei giovani?

Un crescente numero di ricerche ha dimostrato che i soggetti che sperimentano dolore sociale attivano i medesimi circuiti neurali coinvolti nel dolore fisico. Questo significa che le offese e gli atteggiamenti discriminanti possono far male al pari di vere e proprie percosse. Le esperienze di rifiuto possano quindi portare alla comparsa di vari disturbi somatici. E’ per questo che tra i segnali da prendere in considerazione – manifestati dalle ragazze e dai ragazzi possibili vittime di bullismo –  ci sono anche i disturbi fisici. Questi risultati, derivati dal contributo degli studi psicologici e neuroscientifici, evidenziano come sia importantissimo creare in classe e a scuola un ambiente inclusivo capace di prevenire esperienze di discriminazione e di rifiuto sociale per promuovere un ambiente sano e accogliente capace di accompagnare i ragazzi a creare relazioni positive e proattive.

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Partecipare a “Prefigurare il Futuro”, l’incontro con la ricerca di Fondazione Patrizio Paoletti, mi ha permesso di riflettere sulla mia salute emotiva e su molti aspetti utili che riguardano me stessa, su chi sono e cosa davvero è importante per me al di là del giudizio degli altri. Sono sempre stata curiosa di conoscere cose nuove. Durante questa formazione ho riscoperto questa mia qualità. E ripensando alle mie esperienze di vita ho ritrovato il piacere di provare curiosità nei confronti degli altri, in relazione alle loro storie, e a come hanno affrontato le difficoltà.

Tutti portiamo nel cuore dei dolori e se riusciamo ad accoglierli e a trasformarli diventiamo persone davvero speciali.  Ho scoperto che mi piace molto ascoltare gli altri: ho curiosità sulle persone che mi stanno intorno e sui loro atteggiamenti, vorrei capirli. Non ho più paura di essere diversa. Una persona, e le sono grata tantissimo, mi ha detto una volta che non mi manca nulla: allora sto provando a coltivare questa curiosità verso la mia unicità. Ho ritrovato la curiosità anche su me stessa e per me è la cosa più importante.

Anche praticare il silenzio mi ha aiutato davvero tanto. Mi ha fatto pensare a ciò che è importante per me: credere di più in me stessa, e al fatto che è solo quando noi per primi crediamo in noi poi possiamo credere anche negli altri. Praticare il silenzio mi ha anche fatta riflettere sul fatto che solitamente non sentiamo noi stessi e il nostro organismo, è solo quando ci facciamo male che scopriamo di avere un corpo. Lo sentiamo solamente quando ci feriamo, e non sentiamo i nostri organi. Quando ci hanno chiesto di fare questi minuti di silenzio ho sentito battere il mio cuore, cosa che non sento durante il giorno, ho provato gratitudine e una sensazione di benessere. È stata una cosa utile perché mi sono rilassata e ho sentito che la mente era meno piena di pensieri e rumore come al solito…

Sono stata con me, con il mio corpo e mi sono sentita bene. In pace con me stessa.

FOCUS ON: Quali sono gli interventi di prevenzione e contrasto?

Programmi di meditazione e autocompassione rivolti a ragazzi tra i 14 e i 17 anni possono apportare significativi miglioramenti nel benessere psicosociale. Possono ridurre lo stress, l’ansia e la depressione, aumentare la felicità e la flessibilità, migliorare le abilità sociali e l’autostima.

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Adesso se qualcosa non funziona ho imparato a chiedere aiuto anche alla mia famiglia, ai professori e non mi vergogno per questo. Mi sento più forte per affrontare le difficoltà perché  ho capito che anche le fragilità che portiamo dentro ci rendono unici e questo desiderio di essere sempre perfetti e non deludere mai nessuno alla fine ti blocca e smetti di vivere, di sentire le cose, di farti le domande. Ognuno di noi vale e gli adulti dovrebbero aiutarci a scoprire i nostri punti forti, le nostre risorse! Non possiamo fare tutto da soli.

“Mai più soli” è infatti il claim della campagna di sensibilizzazione di Fondazione Patrizio Paoletti in sostegno al diritto alla salute e al benessere mentale di ogni bambino ed adolescente.

Negli interventi formativi della Fondazione, quando viene affrontato il tema del bullismo, vengono presentati gli studi e le ricerche che testimoniano che è possibile interrompere il circuito invisibile di violenza che lo contraddistingue. Come la storia di Cristina, tantissime storie testimoniano che molto spesso diventa difficile per insegnanti e genitori comprendere quando ci si trova di fronte a reali situazioni di bullismo. In alcuni casi diventa difficile intervenire tempestivamente per interrompere le dinamiche negative che caratterizzano questa emergenza.

Per questo la ricerca neuro-psico-pedagogica messa in campo dalla Fondazione a questo scopo, fornisce ad adulti e ragazzi strumenti per:

  1. Riconoscere il fenomeno del bullismo: che cos’è e che caratteristiche ha.
  2. Indagare gli effetti del rifiuto sociale sul cervello dei giovani.
  3. Sensibilizzare alla comprensione che il bullismo è un fenomeno sociale che coinvolge non solo la persona che viene bullizzata o chi bullizza ma anche coloro che sono spettatori: le azioni di prevenzione e contrasto rivolte all’intera comunità educante sono le più efficaci.

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