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La neuroscienza del lutto

Come cambia il nostro cervello quando perdiamo una persona cara

Il lutto è un’esperienza universale. Tutti noi abbiamo sperimentato, in un modo o nell’altro, quella tempesta emotiva che ci attraversa alla scomparsa di una persona a noi cara. L’impatto di un simile evento, sia esso improvviso e inaspettato. oppure la conclusione di un decorso dovuto a una malattia, è a volte tale da farci sentire delle persone diverse. Non è solo un’impressione: per psicologi e neuroscienziati, infatti, il lutto è in grado di cambiare il nostro cervello in maniera profonda.

Secondo due neuroscienziate esperte sull’argomento, Lisa Shulman e Mary-Frances O’Connor, il lutto potrebbe essere descritto in due fasi differenti: il dolore iniziale immediatamente successivo alla perdita (in inglese, “grief”), e la fase successiva di elaborazione di questo dolore (in inglese, “grieving”). La prima fase è caratterizzata da un forte stress: quando sperimenta un trauma emotivo, il nostro cervello attiva gli stessi meccanismi coinvolti nella reazione di attacco-fuga. La pressione e il battito cardiaco aumentano, vengono rilasciati ormoni specifici quali il cortisolo. Avvengono cambiamenti comportamentali, del sonno e delle funzioni corporee: anche il sistema immunitario ne viene influenzato.

Ci sentiamo confusi e deconcentrati. Anche se non è medicamente riconosciuto, il grief ha quindi delle caratteristiche psicofisiche diagnosticabili. Per quanto possa essere emotivamente sconvolgente, si tratta di un meccanismo di autodifesa: il nostro cervello sta cercando, per quanto possibile, di conservare le forze e focalizzare i suoi sforzi su funzioni base per la sopravvivenza. La risposta attacco-fuga si è infatti evoluta per incrementare le nostre chances. E la perdita di un caro, soprattutto se improvvisa, scatena a livello innato gli stessi meccanismi.

Processare il dolore è una faccenda diversa, durante la quale il fattore tempo diventa fondamentale. Se il dolore iniziale è paragonabile a uno stato di allarme, il lutto vero e proprio diventa un elemento costante della nostra vita, una sorta di rumore di fondo che interviene ogni volta che pensiamo alla persona che abbiamo perso. Il nostro cervello deve imparare a fare i conti con l’assenza durante la vita di ogni giorno. Le relazioni umane che ci legano con il defunto sono state recise, ma per il cervello è come se ci fossero ancora e vengono attivati gli stessi circuiti emotivi e della memoria.

Serve tempo affinché questi circuiti vengano riallacciati per sopperire alla mancanza fisica, e un senso di mancanza sarà sempre presente. Si dice spesso alla morte di un caro che “è come se fosse scomparsa una parte di me” e a livello neurologico è come se fosse effettivamente così.

Non tutti sono in grado di processare il lutto con efficacia. Le conseguenze possono essere profonde. Alcuni studi, per esempio, hanno evidenziato un tasso di mortalità e di malattia maggiore per chi era rimasto vedovo o vedova, rispetto a coppie della stessa età in cui entrambi sono ancora in vita. E’ uno stato neurologicamente distinto dalla depressione, ma può averne, se non processato correttamente, sintomi paragonabili.


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Suggerimenti per processare il lutto

Shulman e O’Connor consigliano delle strategie per processare sia lo stress iniziale che il lutto prolungato:

– pratiche di rilassamento respiratorio e muscolare,

– terapia cognitiva comportamentale (CBT),

– attività creative, come ad esempio arte, musica, teatro,

meditazione,

– tenere un diario (journaling) per raccogliere i propri pensieri ed emozioni durante la giornata.

Sono tutte tecniche che, come per esempio quelle promosse dallo psicologo Robert Epstein, possono restituire quel senso di sicurezza e calma necessario a farci superare la perdita.

Ma il sostegno di altre persone è l’elemento fondamentale. Chi rimane solo dopo un lutto, infatti, ha maggiori problemi a superare lo shock emotivo. E probabilità più elevata di complicazioni di salute a lungo termine. E’ importante, per chi vuole aiutare una persona in lutto a superare una perdita:

– essere presenti, non con l’intento di tirarla su di morale o distrarla, ma di farle capire che non è sola, che può contare su di te,

– aiutarla a immaginare un futuro in cui le emozioni negative del momento non saranno una presenza costante,

– non avere fretta e darsi tempo: la nostra psiche e il nostro cervello ne hanno bisogno per poter ricomporsi e imparare ad andare avanti.


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Bibliografia

Lisa Shulman (2018), Before and After Loss: A Neurologist’s Perspective on Loss, Grief, and Our Brain, Johns Hopkins University Press

Anneke Vedder et al, (2022), A systematic review of loneliness in bereavement: Current research and future directions, Current Opinion in Psychology, https://doi.org/10.1016/j.copsyc.2021.06.003

Mary-Frances O’Connor (2023), The Grieving Brain: The Surprising Science of How We Learn from Love and Loss, Harper Collins

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