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La riserva cognitiva per la salute del cervello

Stili di vita e resilienza neuronale

È il 1988 quando un gruppo di ricercatori americani, impegnati ad analizzare tramite autopsia il cervello di persone anziane che avevano sofferto di neuropatologie, si accorge di una cosa: vi è una differenza nel cervello di chi soffriva di Alzheimer. Alcuni pazienti, pur presentando le placche corticali tipici della patologia, non avevano manifestato comportamenti associati alla malattia, come perdita di memoria e di linguaggio, quando erano ancora in vita. Inoltre, questi stessi pazienti sembravano possedere un cervello dal peso maggiore e con un numero più elevato di connessioni neuronali rispetto alla media: avevano, a tutti gli effetti, del “cervello in più”.

Le due ipotesi degli scienziati

Gli scienziati formulano così due ipotesi:

  • la prima era che questi pazienti, pur soffrendo di Alzheimer, fossero riusciti in qualche modo a ridurre la perdita neuronale associata a questa malattia neurodegenerativa.
  • La seconda è che partissero avvantaggiati: con cervelli più grandi e più neuroni a disposizione, ne sarebbero rimasti a sufficienza anche col sopraggiungere dei danni provocati dall’Alzheimer.

Questi risultati, che troveranno in seguito conferme in studi su altre malattie cerebrali, suggeriscono che entrambe le ipotesi possano avere fondamento. È la nascita del concetto di riserva cognitiva, ovvero la capacità del nostro cervello di resistere ai danni ai tessuti, in particolare quelli provocati da malattie neurodegenerative. La potremmo definire una sorta di “fondo pensioni del cervello“, sul quale fare affidamento in età avanzata. Una capacità di resilienza che i neuroscienziati tendono a dividere in due modalità: la brain reserve, innata, e la cognitive reserve, che invece è collegata allo stile di vita.

Dimensione e connessione

Per distinguere le due tipologie di riserva cognitiva, si usa spesso una metafora informatica.

  • La brain reserve, ovvero la quantità di materia neuronale a disposizione, è come l’hardware del computer: i circuiti fisici, il processore, lo spazio per memorizzare dati.
  • La cognitive reserve invece è il software, i programmi installati. La brain reserve ci aiuta a far fronte al danno neurodegenerativo mantenendo le funzioni basilari del cervello.

Sempre proseguendo con la metafora del computer, avere un disco rigido con una capienza maggiore ci permette di avere abbastanza spazio, anche nel caso in cui questo venga danneggiato in alcune parti. Si tratta di una soglia passiva, superata la quale i danni ai tessuti cominciano inevitabilmente ad avere effetti sulle nostre capacità cognitive. Avere più massa cerebrale, quindi, aumenta questa soglia: studi su pazienti di Alzheimer hanno mostrato come avere un cervello più pesante, o addirittura una circonferenza cranica maggiore, sia associato a un rischio minore di insorgenza dell’Alzheimer o un ritardo nell’insorgenza dei sintomi di demenza senile.

Ugualmente importante è anche il numero di connessioni neuronali: più collegamenti sinaptici esistono, meno il cervello è vulnerabile a danni ai tessuti poiché, nel caso un collegamento si interrompa, molti altri possono sopperire. La plasticità neuronale è considerata infatti una delle principali armi di difesa contro il deperimento cerebrale.

 


  • LA PLASTICITÀ CEREBRALE

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Come incrementare la propria riserva cognitiva

Avere un cervello più grande o più piccolo della media è una questione innata. Non è possibile accrescere le proprie dimensioni cerebrali in maniera volontaria, come si farebbe con un computer: l’hardware rimane quello fornito in partenza. Ed è qui che interviene la cognitive reserve, che non è innata ma dipende da diversi fattori sui quali si può intervenire: tra tutti attività fisica, dieta, consumo di alcol e tabacco, e vita sociale.

La cognitive reserve non è un serbatoio finito di risorse, come la brain reserve, bensì il modo stesso in cui il cervello utilizza queste risorse limitate. Con il declino cognitivo in età avanzata, il cervello inizia a funzionare in maniera meno efficiente: un cervello in grado di implementare strategie cognitive alternative impiega una quantità minore dello scarso budget energetico rimanente.

Stili di vita e cognitive reserve

Queste strategie vengono elaborate e rafforzate durante il corso della vita: il livello di istruzione, inteso come numero di anni di studio, è per esempio correlato a una migliore performance cognitiva in età avanzata e a una minore probabilità di sviluppare demenza. Quando si studia e impara, il nostro cervello stabilisce una fitta rete di connessioni neuronali, sulla quale il cervello fa affidamento per risolvere problemi ed elaborare strategie. Lo stesso succede svolgendo attività intellettuali come lettura, arte, musica, ma anche intrattenendo rapporti sociali con amici e parenti, altre attività sociali come il volontariato e attività fisica regolare.

Una dieta e uno stile di vita sani aiutano a mantenere in salute questo network neuronale ed evitare che arrivi alla vecchiaia già danneggiato, mentre l’abuso di alcool e sigarette ha l’effetto opposto e provoca un invecchiamento precoce. Mantenendo così uno stile di vita sano e attivo, si può andare a sopperire ad eventuali carenze della propria brain reserve innata e ritardare, se non addirittura evitare, l’insorgenza di danni neurodegenerativi.

La riserva cognitiva globale

Abbiamo approfondito due tipologie distinte di riserva cognitiva, ma nel mondo delle neuroscienze prende sempre più piede l’idea di una sola riserva globale, data dall’interazione interdipendente della brain e cognitive reserve. Attività stimolanti sono infatti in grado di portare a cambiamenti non solo funzionali, ma anche strutturali nel nostro cervello, una riprova della incredibile plasticità di questo organo. Come abbiamo già detto in passato, anche se a volte è utile immaginarlo come tale, il cervello non è un computer. Il cervello è in grado di riplasmare se stesso a livello strutturale in una maniera impossibile anche per le piattaforme a base di silicio più avanzate. Il cervello è molto più di un computer e il protagonista indiscusso del futuro delle neuroscienze che, tra integrazione delle intelligenze, robotica e fisica quantistica, è già iniziato.

 


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Bibliografia
  • Clare, L. et al, (2017), Potentially modifieble lifestyle factors, cognitive reserve, and cognitive function in later life: A cross-sectional study, PLOS Medicine, Vol 14, e1002259
  • Katzman, R. et al, (1988), Clinical, pathological, and neurochemical changes in dementia: a subgroup with preserved mental status and numerous neocortical plaques. Annals of Neurology, Vol 23, pg 138–144
  • Mori, E. et al, (1997), Premorbid brain size as a determinant of reserve capacity against intellectual decline in Alzheimer’s disease, The American Journal of Psychiatry, Vol 154, pg 18-24
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