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Mio figlio era depresso, la storia di Paola

Il cammino di una madre nel buio della depressione, l’importanza dell’aiuto e delle risorse

La depressione è una malattia che troppo spesso rimane nell’ombra, avvolta dal peso di uno stigma che ne ostacola la comprensione e la cura. Con l’obiettivo di abbattere il muro dello stigma, Fondazione Patrizio Paoletti ha deciso di intraprendere una rubrica dal titolo “Il potere della vicinanza” che ha l’obiettivo di dare voce a storie vere, capaci di sensibilizzare e avvicinare sempre più persone al mondo di chi vive con fragilità mentali e disagi psico-sociali. Ogni racconto, ogni testimonianza è un passo verso l’umanizzazione di una malattia che solo per la depressione riguarda 280 milioni di individui nel mondo e 4 milioni di persone in Italia, che merita di essere trattata con serietà e passione. Fondazione Patrizio Paoletti incontra oggi Paola, una mamma che ha trovato il coraggio di affrontare la depressione del figlio e il modo di aiutarlo a uscirne. La sua storia, dalla disperazione alla speranza, dal buio alla luce, è un esempio di umanità, amore e resilienza, di fronte alle sfide della vita.

Di fronte alla depressione

Il figlio di Paola, Luca, nome di fantasia che abbiamo scelto, è stato per più di quattro anni prigioniero della depressione, quel male oscuro che ti immobilizza, ti esaurisce, che non ti fa vedere la luce, che ti fa dormire per non sentire tutto il dolore che hai dentro.

Non sopportavo più quelle tapparelle sempre abbassate, quell’odore di chiuso mi soffocava. Buio e vuoto erano entrati anche dentro di me. Lui si sentiva svuotato e, lentamente, ho iniziato a svuotarmi anche io. Mi sentivo totalmente impotente di fronte a quel male. Non so cosa mi abbia dato la forza e il coraggio di agire e di reagire, ma, alla fine, è come se avessi partorito mio figlio per la seconda volta”.

L’incontro con Paola

Incontrare Paola non è stato facile. Avevamo entrambe una sorta di timore. Lei non voleva ricordare e io, probabilmente, non avevo il coraggio di far vibrare delle corde, delle mie piccole ferite ancora aperte. Sì, perché la depressione sfiora, in qualche modo, le vite di tutti. I più fortunati trovano una mano tesa prima di cadere in un abisso, altri sprofondano senza tornare mai più.

Poi, finalmente, l’incontro: suggestivo, senza filtri, con i cuori aperti e con un lieto fine o, se vogliamo, con un nuovo inizio. Le lacrime non sono mancate. Questa volta, però, di gioia. Io e Paola, dopo quel lunghissimo incontro, ci sentiamo persone diverse. Le nostre anime si sono unite in un abbraccio interminabile che ci ha dato forza e conforto nello stesso tempo. Involontariamente e con una delicatezza quasi celestiale, ci siamo reciprocamente curate le ferite e io, per questo, gliene sarò sempre grata.

Quando hai notato per la prima volta che tuo figlio non stava bene? Ci sono stati segnali o cambiamenti specifici che ti hanno fatto preoccupare?

Non so esattamente come tutto sia iniziato, so solo che ad un certo punto la situazione è precipitata. Luca è sempre stato prima un bambino e poi un ragazzo molto allegro, di compagnia, solare ed esuberante. Tutti gli volevano bene. Aveva una sensibilità superiore alla norma, aiutava sempre chiunque si trovasse in difficoltà, non si risparmiava. A volte lasciava indietro le sue cose per facilitare gli amici. D’un tratto, è come se si fosse spento, è come se avesse spostato l’interruttore della sua vita sul tasto off.

Inizialmente pensavo non volesse uscire di casa perché aveva litigato con il suo migliore amico, le classiche scaramucce da adolescenti. Mi ripeteva spesso che era stanco, triste. Si alzava tardi e, dopo brevi giri di perlustrazione in casa, tornava in camera, al buio, in silenzio. Faceva fatica a relazionarsi anche con me. Mangiava pochissimo, non si sedeva neanche più a tavola, aveva perso tanti chili, era un fascio di nervi. Io ero preoccupata perché quello era l’anno della maturità e lui faceva troppe assenze a scuola. Il più delle volte la mattina mi diceva “non me la sento di andare a scuola, non ho studiato a sufficienza, non voglio abbassare la media dei voti”. Gli ho creduto o, meglio, ho preferito credergli e, per questo, ho davvero tanti sensi di colpa.

In quel periodo, c’è stato un evento scatenante che potrebbe aver contribuito alla sua depressione?

Io e suo padre ci siamo separati cinque anni fa. È stata una separazione un po’ tormentata, io sono stata molto male. Probabilmente non sono stata in grado di proteggere Luca dai miei malumori. Ero sempre molto nervosa e, spesso, assente. L’ho responsabilizzato parecchio in quel periodo. Non ne abbiamo mai parlato molto. Non ho pensato di chiedere un supporto psicologico né per me, né per Luca. Ora so che grave errore ho commesso.

Quali sono state le tue prime emozioni quando hai capito che tuo figlio aveva un problema? Ti sei mai sentita impotente o sola nell’affrontare questa situazione?

Ero terrorizzata, questo lo ricordo benissimo. Più lui si spegneva, più io morivo dentro. C’è stato un momento in cui ho pensato di spegnermi insieme a lui. Stavo iniziando a modellarmi ai suoi comportamenti, ero talmente stanca che nel fine settimana dormivo anche io ore interminabili. Una volta, mi vergogno anche solo a ricordarlo, non ho alzato le tapparelle fino al lunedì mattina seguente quando, con estrema fatica, sono dovuta per forza uscire per andare al lavoro. Poi la solitudine, una diretta conseguenza della vergogna. Mi sentivo una mamma sbagliata, colpevole, impotente.

Come hai cercato di comunicare con lui durante i momenti più difficili?

All’inizio cercavo di spronarlo. Raccoglievo tutte le forze che ormai non avevo più, facevo un bel respiro, piombavo nella sua cameretta e gli tiravo su le tapparelle, lo bombardavo con frasi motivanti: “Guarda che bel sole c’è oggi Luca! Andiamo a fare un giro al parco? Oggi c’è anche il mercato, potremmo approfittare per fare colazione nel nostro bar preferito“. Cercavo di farlo sorridere, di sbloccargli dei ricordi felici, di coinvolgerlo il più possibile in qualsiasi attività dentro e fuori casa. Col tempo, e con l’aiuto di uno psicanalista, ho compreso che stavo sbagliando tutto. La depressione non si combatte così.

Come ha reagito tuo figlio quando avete iniziato a cercare aiuto?

Luca era arrivato al punto di non ritorno. I mal di testa lo facevano impazzire. Una mattina si è presentato in cucina facendomi davvero spaventare. Aveva gli occhi scavati, contornati da cerchi neri. Era un fascio di nervi, parlava con le mandibole quasi serrate. Non riposava bene da mesi. Il suo sonno non era ristoratore, era tormentato. Alternava attacchi di panico a depressione. Quell’immagine non la dimenticherò mai: “Sono un involucro con dentro niente, non voglio più vivere. Faccio fatica anche a respirare, mi sento come paralizzato. Ho paura”. Una mamma non dovrebbe mai arrivare a sentire quelle parole. Ho chiesto aiuto al mio psicanalista che mi ha messo in contatto con un suo collega.

Ci sono stati momenti in cui hai visto un miglioramento significativo o una ricaduta? Cosa pensi abbia contribuito a queste fasi?

Sono trascorsi parecchi mesi prima di vedere un bagliore di luce. Lunghe giornate di silenzio infernale. Io non chiedevo e lui non mi raccontava. Poi, un giorno, lo ricordo ancora con i brividi di felicità, si è alzato ed è entrato in bagno a farsi una doccia. Potrebbe sembrare una cosa normale, ma per Luca non lo era più. Non si lavava quasi mai, lo dovevo costringere. Dopo la doccia mi ha anche fatto un sorriso. Quante cose sono riuscita a leggere da quei lembi della bocca tirati all’insù. È stato come rinascere insieme a lui. Era come se, ad un tratto, si fossero spalancate tutte le finestre di casa e il sole avesse fatto, finalmente, capolino.

Puoi raccontarci un episodio che rappresenta il momento più difficile e uno che ti ha dato speranza?

Di episodi brutti ce ne sono stati così tanti che, ad un certo punto, non riuscivo neanche più a vederli perché erano diventati la normalità. Sicuramente, quello più brutto è stato quello più estremo, quando mi ha detto di aver pensato di togliersi la vita. Chissà che tormento deve aver vissuto. La speranza non l’ho mai persa. Nel tunnel ho sempre cercato di vedere una luce, ma la sua voglia di farsi aiutare per ricominciare a vivere mi ha fatto capire che la luce poteva non essere un miraggio.

Come ha influito la depressione di tuo figlio sul resto della famiglia?

La depressione di un familiare è come una catena che si attorciglia alle caviglie di tutti e tira giù. Non lascia scampo, è contagiosa. È tutto un continuo fallimento. Inizi coraggioso e volenteroso, pensi di potercela fare da solo, ma poi vieni risucchiato in un vortice che si chiama silenzio, buio, paralisi.

Come hai bilanciato le esigenze di tuo figlio con quelle del resto della tua vita?

È stato tutto molto complicato. Uscivo per andare a lavorare, ma cuore e testa rimanevano a casa. Non potevo concedermi il lusso di stargli sempre accanto. Con il senno di poi, il fatto che fossi costretta ad uscire e a socializzare, so che mi ha salvata.

Pensi che ci sia sufficiente consapevolezza sociale sul tema della depressione nei giovani?

Assolutamente no. All’inizio, quando ancora non avevo compreso bene quello che stava succedendo a mio figlio, mi confrontavo con colleghe e amiche. Loro mi rassicuravano dicendomi che anche i loro figli se ne stavano rintanati in camera tutto il giorno che “la società è cambiata, i giovani sono cambiati, ora preferiscono stare attaccati al cellulare, comunicano così, non ti devi preoccupare”. Adesso so che, probabilmente, qualche problema ce l’hanno anche i loro figli. Che non è normale. È nostro dovere di genitori attenzionare e moderare questi atteggiamenti. Dobbiamo dare regole precise, senza il timore di farli sentire “diversi” se non si isolano per ore ed ore scrollando sui social. Dobbiamo fargli capire che non è vita vera quella e, se uno è più fragile, rischia di essere risucchiato insieme ai suoi problemi.

C’è qualcosa che vorresti dire ad altre mamme che stanno vivendo una situazione simile?

Non aspettate, chiedete subito aiuto. C’è di mezzo la vita di vostro figlio. La depressione porta al suicidio e, se non presi in tempo, questi ragazzi arrivano a togliersi la vita perché il peso da sopportare è troppo pesante. Noi genitori possiamo stargli vicino, ma non bastiamo, non abbiamo le competenze.

Che messaggio vorresti dare ai ragazzi che possono trovarsi nella stessa condizione di tuo figlio?

Non vergognatevi delle vostre fragilità. La vita è una cosa meravigliosa se vissuta bene, altrimenti è un inferno sulla terra. Parlatene subito, non temete il giudizio dei pari o di chi si prende cura di voi.

Come pensi che questa esperienza abbia cambiato te, tuo figlio e la vostra famiglia?

Mio figlio era depresso, la storia di PaolaLuca sta facendo un ottimo lavoro con il suo terapeuta. Ha da poco smesso di prendere i farmaci ed è molto sereno. La mattina, la prima cosa che facciamo è aprire tutte le finestre prima di fare colazione. È un po’ un rituale che ci fa iniziare meglio la giornata. Parliamo tanto e sorridiamo spesso. Anche io ho da poco concluso il percorso con il mio psicanalista e sono molto più tranquilla, ho approfittato per risolvere alcune situazioni ingarbugliate della vita precedente. È importante essere equilibrati per non trasferire paranoie o disagi ai nostri figli, loro sono come spugne, assorbono tutto e, se è negativo, è molto complicato per loro reagire, non hanno le risorse.

Sostenere le risorse dei giovani

Fondazione Patrizio Paoletti supporta la salute di adolescenti e giovani grazie a progetti psicoeducativi finalizzati al potenziamento delle risorse interiori, con progetti nelle scuole come Prefigurare il Futuro, un percorso formativo dedicato a docenti, personale scolastico, genitori e studenti. Il programma insegna a conoscere e utilizzare al meglio le potenzialità della mente, trasformando le difficoltà in forza e determinazione.

I programmi psicopedagogici di Fondazione Patrizio Paoletti arrivano anche nelle zone dove il fragile tessuto sociale richiede progettualità specifiche per sostenere il benessere delle famiglie, grazie alle attività extrascolastiche a supporto della progettazione didattica di Oltre le Periferie.

Potenziare e valorizzare le risorse di giovani, genitori e di tutta la comunità educante significa investire sulla prevenzione del disagio psicosociale, per coltivare insieme una salute globale, che supera il concetto di assenza di malattia e comprende la realizzazione personale e la felicità.

    Non temere mai di chiedere aiuto!

    Tutti i contenuti di divulgazione scientifica di Fondazione Patrizio Paoletti sono elaborati dalla nostra équipe interdisciplinare e non sostituiscono in alcun modo un intervento medico specialistico. Se pensi che tu o qualcuno a te vicino abbia bisogno dell'aiuto di un professionista della salute mentale, non esitare a rivolgerti ai centri territoriali e agli specialisti.


  • GLI ADOLESCENTI VANNO AIUTATI.
    PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI.

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