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Salute mentale e ambiente marino: intervista al Prof. Francesco Regoli

Un progetto europeo sul rischio di sostanze farmaceutiche in mare

Professor Regoli, lei coordina un progetto europeo sulla presenza e il rischio di sostanze farmaceutiche nell’ambiente marino, di cosa si tratta esattamente?

Il progetto si chiama PHARMASEA. Nell’ambito di un recente bando europeo sugli inquinanti emergenti nell’ambiente, sono stati finanziati 18 progetti e il nostro è l’unico che si occupa di farmaci. In questa fase stiamo facendo indagini sulla presenza e la distribuzione di residui farmaceutici in diverse aree geografiche. Come il Mare del Nord, l’Atlantico, il Mediterraneo e, in particolare, l’Adriatico. A cui seguono anche tutta una serie di indagini di laboratorio, per caratterizzare gli effetti sugli organismi esposti e dunque i possibili rischi. Mettere a punto nuove strategie di monitoraggio permette di rilevare la comparsa di effetti precoci negli organismi. Prima di arrivare a fenomeni più gravi per l’ambiente.

Queste indagini servono anche per definire una scala di priorità per il monitoraggio dei farmaci nell’ambiente. Basata da una parte sulla frequenza e concentrazione con cui alcune sostanze vengono rilevate, dall’altra sulla pericolosità degli effetti biologici indotti. Se una molecola risultasse essere particolarmente diffusa e anche tossica, questa dovrebbe essere considerata con prioritaria attenzione. Purtroppo la maggior parte dei farmaci non sono ancora inclusi in nessuna linea di monitoraggio. Non rientrano, cioè, tra i parametri con cui misuriamo la qualità dell’ambiente o assegniamo le bandiere blu che ci tranquillizzano. Quando un ambiente viene definito come non inquinato, questo è vero rispetto a quelle sostanze che sono state misurate. Considerando che ogni anno produciamo migliaia di nuove sostanze (compresi i farmaci), dobbiamo sapere che queste molecole non sono monitorate in termini di loro presenza nell’ambiente.

A titolo di esempio, cito la metformina che non era mai stata considerata come possibile inquinante ambientale. E che invece è ben nota come uno dei farmaci più utilizzati nel trattamento del diabete. Recentemente, in Olanda, è stata segnalata la crescita abnorme delle foglie in alcune piante. E le indagini hanno evidenziato che quelle piante avevano assorbito la metformina dai fanghi prodotti da impianti di depurazione e usati come ammendanti. Questa sostanza non veniva, infatti, rimossa dai sistemi di filtrazione, concentrandosi nei fanghi. Evidenti sono le implicazioni che si possono avere nel trasferimento di residui farmaceutici in piante che mangiamo abitualmente.

Il suo lavoro con le indagini sui farmaci nei nostri mari l’ha condotta a scoperte che danno da riflettere. Ha recentemente condiviso che sono presenti nell’acqua anche sostanze provenienti da psicofarmaci. Un dato sorprendente forse. Ma anche una metafora della stretta relazione tra le difficoltà interiori e quelle esteriori di questo momento. Può darci il suo punto di vista?

A mio avviso, ci sono alcuni elementi su cui vale la pena soffermarsi. Il primo è che questi residui di farmaci non li abbiamo rilevati solo nell’acqua. Ma anche negli organismi. Un dato importante perché significa che queste sostanze, oltre che raggiungere l’ambiente, diventano nuovamente biodisponibili per gli organismi che sono in grado di accumularle. Non conosciamo ancora le conseguenze nel medio e nel lungo termine che queste sostanze possono indurre sugli organismi acquatici, e quindi il loro rischio ecologico. È, inoltre, evidente che questi farmaci possono ritornare all’uomo tramite il consumo di prodotti alimentari, dimostrando che quello che noi riversiamo inconsapevolmente nell’ambiente, dall’ambiente ci può essere restituito. Secondo studi effettuati in alcune grandi città europee, residui di farmaci sono stati addirittura rilevati nelle acque domestiche.

Un altro elemento su cui soffermarsi è che, oltre agli psicofarmaci, abbiamo ritrovato anche le altre principali categorie di farmaci, come antinfiammatori, regolatori lipidici e cardiovascolari. Un po’ tutte le sostanze principali che oggi vengono utilizzate in medicina umana e veterinaria. Tutti questi farmaci non “spariscono” dopo essere stati ingeriti dal paziente: in gran parte vengono eliminati tal quali, ed anche quando sono metabolizzati, questi residui raggiungono gli impianti di depurazione dove non vengono efficacemente trattenuti. Dagli impianti di depurazione vengono pertanto rilasciati negli ambienti acquatici e continuano il loro effetto.

Nella visione promossa da Fondazione Patrizio Paoletti la consapevolezza è la base per comprendere il nostro agire e renderci efficaci nel mondo, come ormai ampiamente confermato dalla ricerca neuroscientifica. Quale contributo può dare oggi la scienza alla consapevolezza dell’emergenza climatica?

Nell’ultimo decennio il consumo dei farmaci è aumentato in maniera esponenziale. Questo non necessariamente per una questione di abuso o di dipendenza, poiché l’utilizzo dei farmaci ha moltissimi aspetti positivi per il miglioramento della salute e della qualità della vita delle persone.

È indubbio però che i dati relativi a certe categorie di farmaci sono inquietanti. La carbamazepina, un antiepilettico spesso utilizzato come antidepressivo, è il farmaco che in assoluto ritroviamo più frequentemente in tutti gli ambienti acquatici: vent’anni fa il marcatore dell’attività antropica era il piombo, adesso è questo farmaco. Le concentrazioni che misuriamo negli organismi e negli ambienti acquatici non hanno livelli così alti da determinare un’emergenza, ma rappresentano certamente un segnale di attenzione che non dobbiamo ignorare.

Un dato che abbiamo ricavato, in collaborazione con alcune aziende farmaceutiche, è che negli ultimi tre anni il consumo di certe categorie di farmaci e psicofarmaci è aumentato, non solo in Italia ma in tutta Europa. Evidentemente certe forme di dipendenza, stati d’ansia e disagi giovanili che abbiamo sperimentato durante e dopo il Covid, sono comuni a molti paesi.

Nel progetto europeo PHARMASEA partecipano come partner Spagna, Germania e Norvegia. Un dato interessante è stato il picco nella concentrazione di antidepressivi che vengono misurati nelle acque di scarico di una città in Norvegia durante l’inverno, quando si hanno lunghi periodi di buio: il comportamento sociale può avere ripercussioni inaspettate sull’ambiente.

Personalmente, vedo molti parallelismi tra la problematica dell’inquinamento da farmaci e quello delle microplastiche. Fino a qualche anno nessuno conosceva le microplastiche che oggi invece vengono trattate nelle agende politiche di tutti i Paesi, in molti progetti di ricerca e forme di comunicazione. Ancora non si parla molto di farmaci nell’ambiente, ma la loro presenza diventerà un tema centrale nei prossimi anni, anche perché, come le plastiche, sono direttamente legati alle nostre abitudini.

Mentre sulle plastiche ci sono state delle restrizioni, è difficile pensare – e sarebbe illogico – che possa avvenire la stessa cosa con i farmaci. Non possiamo contrastare l’inquinamento da farmaci limitandone il consumo, è un controsenso. Però possiamo limitare alcuni abusi, visto che solo in Italia si consumano oltre tremila tonnellate l’anno di antinfiammatori, talvolta senza una seria motivazione all’utilizzo.

Quello che stiamo cercando di fare è coinvolgere le aziende farmaceutiche e i medici nella direzione di un consumo consapevole. Ad esempio, spesso scegliamo il nostro antinfiammatorio senza approfondire. Ma se si sapesse che tra gli antinfiammatori disponibili sul mercato ce ne sono alcuni che hanno un destino ambientale più o meno grave, questa conoscenza potrebbe orientare le scelte del cittadino, del medico che prescrive, ma anche delle case farmaceutiche per considerare nella progettazione dei nuovi farmaci anche le loro ricadute ambientali, oltre agli obiettivi fisiologici.

Lei ha manifestato un notevole impegno per il contrasto del cambiamento climatico, impegno prezioso e quantomai necessario. Dal suo punto di vista quanto è importante l’educazione di giovani e adulti rispetto alla crisi ecologica attuale?

Educazione e consapevolezza sono due parole chiave in ogni ambito, tanto più quando si parla di farmaci per un loro uso responsabile. La ricerca farmacologica ha un ruolo fondamentale, considerando che la popolazione sta invecchiando e sono pertanto necessarie nuove tipologie di farmaci, per le quali è importante prevedere anche controlli e valutazioni ambientali.

Guardando ad un’altra parte dello spettro e cioè ai più giovani, agli adolescenti, osserviamo spesso un paradosso legato alla cosiddetta eco-ansia, alimentata da una insicurezza ambientale e contrastata con farmaci che poi contribuiscono ad aumentare un certo tipo di problema ambientale. La consapevolezza delle problematiche ambientali non deve essere fatta passare come una fonte d’ansia per i giovani, che devono invece trovare in questa consapevolezza l’energia e la forza per contrastare le minacce all’ambiente. Sempre più frequentemente si assiste a dibattiti animati con posizioni diametralmente opposte, che vanno dagli allarmismi ingiustificati ai negazionismi propagandistici. Sono posizioni ugualmente sbagliate.

Il fondatore del nostro ente, Patrizio Paoletti, è solito dire: “La pace non è l’assenza della guerra, ma uno stato neurofisiologico dell’essere”. È un’idea che si collega alla sostenibilità, che non è solamente la sostenibilità dell’ambiente, ma anche la sostenibilità dell’essere umano, quindi dell’energia umana. Cosa ne pensa?

La sostenibilità viene spesso declinata in maniera incompleta, mentre dobbiamo ricordare che la vera sostenibilità è al contempo ambientale, economica e sociale. Se uno dei tre pilastri non viene rispettato, non c’è sostenibilità. Non si può avere sostenibilità ambientale senza che sia economicamente possibile e socialmente giusta: la sostenibilità a cui tendere significa che le persone vivono in un ambiente sano, socialmente giusto ed economicamente attivo.

A questo proposito, una considerazione importante è che l’idea che proteggere l’ambiente voglia dire ridurre l’economia è una sciocchezza gigantesca. Basta guardare alle politiche del Green Deal dell’Unione Europea per capire quanta economia è in grado di muovere il settore ambientale.

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