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La spiritualità è uno stato cerebrale che tutti possiamo raggiungere

Alla scoperta dei meccanismi cerebrali che accompagnano le esperienze spirituali

“La spiritualità è uno stato cerebrale a cui tutti possiamo giungere, religiosi o no” (Spirituality is a brain state we can all reach, religious or not). È il titolo dell’articolo pubblicato sui media di Aeon Psyche, scritto da Tal D. Ben-Soussan, direttrice dell’Istituto di ricerca RINED della Fondazione Patrizio Paoletti. Aeon Psyche è una delle riviste più diffuse a livello globale, che mira, attraverso un approccio interdisciplinare, ad “illuminare la condizione umana attraverso la psicologia, la comprensione filosofica e le arti”.

In questo articolo divulgativo, la direttrice del nostro Istituto di ricerca in neuroscienze, pedagogia e didattica ci accompagna alla scoperta dei meccanismi cerebrali che accompagnano le esperienze considerate tradizionalmente spirituali. Indagando il nostro cervello, scopriamo che il fattore più importante in queste esperienze, al di là delle diverse forme che hanno assunto nella storia umana, è l’interconnessione tra aree cerebrali e quindi tra aspetti della nostra esperienza. Attraverso le più recenti scoperte, possiamo trovare applicazioni pratiche per migliorare il nostro quotidiano, la nostra relazione con noi stessi e con gli altri in modo efficace per i nostri tempi. Il sapere scientifico ci porta così a nuovi approcci a quell’auto-consapevolezza che può essere potenziata attraverso il giusto allenamento e che è alla base di ogni vero benessere.

Di seguito la traduzione integrale in italiano dell’articolo originale:

La spiritualità è uno stato cerebrale a cui tutti possiamo giungere, religiosi o no

William James, il padre della psicologia occidentale, definì le esperienze spirituali come uno stato di coscienza superiore, che a sua volta è indotto dagli sforzi per comprendere i principi generali o la struttura del mondo attraverso la propria esperienza interiore. Al centro della spiritualità come da lui intesa c’è la “connessione”, che si riferisce al fatto che gli obiettivi individuali possono essere veramente realizzati solo nel contesto del tutto – la propria relazione con il mondo e con gli altri. 

Tradizionalmente questo stato è stato descritto come divino, raggiungibile attraverso pratiche contemplative e incarnate, come la preghiera, la meditazione e i rituali ritmici. Infatti, questo stato superiore di coscienza e di connessione è stato riportato in molte tradizioni spirituali, che vanno dal Buddismo al Sufismo e dal Giudaismo al Cristianesimo. Tuttavia, recenti ricerche neuroscientifiche mostrano che lo stesso stato può essere raggiunto anche attraverso pratiche laiche. Le illuminazioni scientifiche e creative con i loro stati estatici che le accompagnano, caratterizzati da un senso di unità e beatitudine, sono simili alle esperienze religiose, dal momento che entrambe coinvolgono uno stato superiore di presenza e osservazione.

Molti geni, come Albert Einstein e Srinivasa Ramanujan, hanno riferito di stati di tipo spirituale durante le loro grandi rivelazioni o scoperte. Ma queste non devono essere esperienze rare di pochi eletti. Possono essere raggiunti nella vita quotidiana. Come ha detto il premio Nobel e poeta Czesław Miłosz, “La descrizione richiede un’osservazione intensa, così intensa che il velo dell’abitudine quotidiana cade e ciò a cui non abbiamo prestato attenzione, perché ci sembrava così ordinario, si rivela miracoloso”.

Sono una neuroscienziata e tra le altre cose studio il modo in cui gli stati spirituali si riflettono nel cervello e in altre parti del corpo. È stato dimostrato che le pratiche spirituali sono strettamente legate alla consapevolezza di sé, all’empatia e al senso di connessione, tutte cose che possono essere correlate alla frequenza delle onde cerebrali misurate dall’elettroencefalogramma (EEG). Gli studi che utilizzano l’EEG hanno dimostrato quanto la nostra attività cerebrale complessiva possa essere “frammentata” o sfasata per la maggior parte del tempo, indicativa di conflitti tra i nostri comportamenti, pensieri, sentimenti e nella nostra comunicazione. D’altra parte, i meditatori esperti mostrano onde cerebrali più ‘armoniose’, che potrebbero essere indicative di una maggiore sincronia o connettività all’interno e attraverso diverse aree neurali. In breve, la spiritualità, analogamente all’amore, ha effetti fisiologici nel cervello e nel corpo e l’EEG fornisce una finestra su questi cambiamenti.

Per di più, la ricerca suggerisce che possiamo fare di più che misurare questo tipo di attività. Possiamo anche allenare il nostro cervello a comportarsi in modo più “consapevole” impegnandoci in attività che facilitano una maggiore connessione o sincronizzazione neurale. Una maggiore sincronizzazione – immaginate un grande gruppo di cellule cerebrali che cantano insieme – è stata riscontrata in seguito alla pratica di diversi paradigmi contemplativi, come la meditazione e la preghiera (creando come delle onde dell’oceano più lente, ora sempre più calme).

Un modo di interpretare questo è che la sincronizzazione neuronale migliora la nostra “armonia” o “integrità” cerebrale – giungendo al raggiungimento di uno stato in cui il cervello lavora in modo più congruente, il che porta ad una prospettiva più globale. Altri risultati indicano le conseguenze psicologiche di questo stato – una maggiore sincronizzazione neuronale tende a consentire una maggiore capacità di formulare giudizi morali e di risolvere i problemi in modo creativo. 

La sincronizzazione neuronale è anche correlata al sentirsi più connessi con se stessi, il che può, a sua volta, aumentare ulteriormente l’empatia, la creatività e l’efficacia. In una parola, è associata a una maggiore consapevolezza di sé, la quale presenta molti vantaggi pratici. Per esempio, la psicologa Tasha Eurich ha scritto recentemente nella Harvard Business Review che le persone con una maggiore consapevolezza di sé sono più sicure di sé, prendono decisioni più solide, costruiscono relazioni più forti e comunicano in modo più efficace. Coloro che sono consapevoli di sé ricevono anche più promozioni, hanno dipendenti più soddisfatti e realizzano aziende più redditizie. 

Potreste preoccuparvi l’idea che adottare un approccio neuroscientifico alle profonde e ineffabili esperienze spirituali sia riduttivo. Ma un’altra prospettiva è che l’esplorazione scientifica di tali esperienze potrebbe rivelare i meccanismi che permettono a tutti noi di raggiungere questi stati anche nei momenti più banali, come l’attesa nel traffico. La scoperta scientifica potrebbe trasformare esperienze apparentemente soggettive in una comprensione unificata (e unificante). In poche parole, ho visto come la spiritualità possa essere sperimentata in laboratorio! Lasciate che condivida con voi qualche esempio.

La maggior parte della mia ricerca negli ultimi due decenni è legata a una meditazione in movimento chiamata Quadrato Motor Training (QMT), che richiede sia coordinazione che consapevolezza. I praticanti alternano movimenti dinamici e posture statiche, mentre dividono la loro attenzione tra il loro corpo nel momento presente e la sua posizione nello spazio. Il QMT richiede una connessione tra il mondo “esterno” e il reame interiore, richiedendo al partecipante di essere intenzionalmente consapevole dei “mondi” interno ed esterno contemporaneamente. 

Nella nostra ricerca abbiamo scoperto come il QMT abbia migliorato la flessibilità cognitiva. Per esempio, pensando a un semplice bicchiere, la maggior parte delle persone lo associa all’atto di bere. Ma dopo l’addestramento QMT, si possono aprire altri “mondi di contenuto” (il bicchiere può essere visto come “il santo graal” o come un cappello), dimostrando una maggiore flessibilità cognitiva. Infatti, il nostro studio ha dimostrato che una sessione di QMT di sette minuti ha aumentato la flessibilità del 25 per cento, rispetto ad altri tipi più semplici di movimento o di allenamento verbale. Inoltre, le misure EEG hanno mostrato che la maggiore flessibilità cognitiva associata all’allenamento QMT era anche accompagnata da una maggiore sincronizzazione cerebrale del tipo precedentemente collegato al rilassamento, all’attenzione e allo stato di flusso. Qualcuno potrebbe dire che QMT favorisce anche la spiritualità. 

Cos’altro aiuta a produrre la sincronizzazione neurale? Beh, potrà forse sorprendere, essere in uno spazio simile a una camera di deprivazione sensoriale, con poca stimolazione esterna, ha anche un impatto sulla sincronizzazione neuronale. Questa era l’idea sottostante la camera OVO (“uovo”, riferendosi alla forma dello spazio), creata dall’italiano Patrizio Paoletti, uno dei più importanti insegnanti di meditazione, basato sul suo “Modello Sferico della Coscienza” (detto brevemente, il modello descrive una matrice sferica che mappa le nostre esperienze soggettive, che vanno dalle abitudini automatiche ordinarie agli stati superiori di coscienza raggiunti nelle pratiche contemplative; vedi Figura 1 e 2). Io e i miei colleghi abbiamo scoperto che l’immersione nell’OVO porta a un aumento della sincronizzazione neuronale nell’insula, un’area del cervello legata all’empatia e all’autocoscienza corporea.

A sua volta, si è trovato che questo è accompagnato da un aumento del senso di “assorbimento” (simile a quella sensazione che si ha quando si è sopraffatti dalla bellezza di un tramonto, e si impegna pienamente e volontariamente la nostra attenzione nell’esperienza). L’assorbimento è anche strettamente legato alla spiritualità, alla meditazione e all’empatia, probabilmente perché tutte coinvolgono l’apertura ad esperienze che modificano se stessi e aumentano volontariamente la consapevolezza. 

Anche se non tutti possiamo avere accesso a una camera OVO esterna, possiamo metterci al centro della nostra “sfera” nella vita quotidiana. Radicandoci, ascoltando le nostre aspirazioni più alte e prestando maggiore attenzione al nostro respiro, alle persone che amiamo e al momento presente, possiamo trascendere il qui e ora e creare una vita più “sferica” che sposta la nostra attenzione dai bisogni e dalle paure di base, ai valori. Questo è ulteriormente accompagnato da uno spostamento intenzionale verso un chiaro “orientamento all’obiettivo”, rappresentato dal centro della nostra sfera interna nel modello di Paoletti. In questo senso, la spiritualità può essere vista come azioni che non sono separate dalla vita quotidiana, ma piuttosto congruentemente connesse ai suoi diversi aspetti – il corpo, la famiglia, la carriera, l’amicizia, le relazioni, la finanza e la società. 

Oltre a trovare il Modello Sferico della Coscienza di Paoletti utile nella mia ricerca neuroscientifica, lo uso anche come strumento pratico con cui osservarmi. Poiché la spiritualità è strettamente legata allo stato di coscienza, all’autoconsapevolezza e alla sincronizzazione neuronale, più la propria coscienza è elevata, più si sente la connessione delle cose. Immaginate di essere fuori in macchina e di osservare il sole che tramonta. Il vostro successivo pensiero è il traffico, o siete meravigliati dal magnifico tramonto e dalla danza planetaria quotidiana che tutti condividiamo? Ora immaginate lo stesso viaggio. Qualcuno incautamente vi taglia la strada e sfreccia via. La vostra prima reazione è quella di arrabbiarvi e iniziare a inseguirlo – mettendo a rischio voi stessi e gli altri? Oppure rimanete calmi, con il vostro battito cardiaco uguale a quello di prima che l’auto vi superasse?

In entrambi gli esempi, quest’ultima opzione comporta l’impegno di una parte più matura e presente di noi stessi, nel momento irripetibile attuale – essendo pienamente connessi all’esperienza dei panorami, dei suoni e dei profumi.  Questo è il tipo di esperienza che alcuni chiamano spiritualità, cioè l’interconnessione dell’essere. Al contrario, ogni volta che reagiamo involontariamente, non siamo ancorati al nostro centro, ma controllati da uno stato più automatico non scelto da noi, e quindi siamo meno connessi sia in noi stessi che al bene più grande. 

Per me, una grande parte della spiritualità è superare le situazioni quotidiane difficili con calma e attenzione. Quando lo perdiamo [“we lose it”, modo di dire inglese per intendere “arrabbiarsi” e simili ndt], per esempio, cosa perdiamo esattamente? Nient’altro che il nostro sé. Tutti lo perdiamo a volte, ma possiamo perderlo meno spesso riconnettendoci continuamente al nostro migliore sé e l’un l’altro. 

Recentemente, mentre mi preparavo per una conferenza on-line, ho condiviso alcuni dei miei dati che mostrano livelli sempre maggiori di rilassamento tra i meditatori principianti, intermedi ed esperti. La mia curiosa figlia diciassettenne ha scherzato: “Mamma, so come meditare. Sono una praticante intermedia, giusto?”. Ho risposto: “Beh, come vedi da questi grafici, c’è una grande differenza tra sapere come meditare e praticare regolarmente. Immagina delle scale che puoi salire per raggiungere il cielo. Tu hai i mezzi per arrivarci, ma ora devi continuare a salire”. 

Come neuroscienziata, sapere che il cambiamento del cervello è possibile (anche tra gli adulti) mi mantiene ottimista e motivata nella mia ricerca. 

Bibliografia
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