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La scienza della felicità: fare del bene fa star bene

La Giornata internazionale della felicità è stata istituita nel 2013 dalle Nazioni Unite “per riconoscere l’importanza della felicità nella vita delle persone in tutto il mondo”.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconosce questo obiettivo e chiede “un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova la felicità e il benessere di tutti i popoli”. E per realizzare questo approccio inclusivo l’ONU nel 2015, ha lanciato i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che mirano a porre fine alla povertà, a ridurre le disuguaglianze e a proteggere il nostro pianeta, accordando un ruolo centrale all’educazione in questo processo.

Come si misura la felicità a livello globale?

Secondo il World Happiness Report – un’indagine statistica Condotta su oltre 150 paesi, realizzata da un network accademico guidato dalla Columbia University su una base dati fornita dall’istituto di ricerca Gallup – emerge che l’interesse per la felicità e il benessere individuale e collettivo è aumentato notevolmente da parte di organizzazioni, università e istituzioni governative. Oggi, quando organizzazioni, accademici o governi cercano di definire il progresso attraverso la creazione di una nuova serie di indicatori, includono sempre più spesso misure di felicità.

Queste misurazioni poi evolvono in relazione ad una idea globale di felicità. Nel Word Happines Report 2023, infatti, sono aumentati i criteri di valutazione più connessi all’ambito soggettivo, interiore degli individui. Oltre le necessarie condizioni di benessere e condizioni di vita, si fa sempre più largo un criterio determinante per la felicità dell’insieme: l’altruismo, la solidarietà all’interno del tessuto sociale.

Il lato positivo della pandemia

Oggi milioni di persone condividono ogni giorno i propri pensieri e sentimenti online attraverso i social media, il che rende possibile un’analisi automatizzata dei dati dei social media, che misura le tendenze emotive. Per quanto riguarda l’impatto della COVID-19, i dati di Twitter in 18 Paesi hanno mostrato un forte aumento dell’ansia e della tristezza durante la COVID-19.

Allo stesso tempo, il Report 2022, aveva rilevato che la pandemia non ci ha portato solo difficoltà, dolore e sofferenza, ma ha anche determinato un aumento del sostegno sociale e della benevolenza, importanti fattori per la nostra felicità. Mentre lottiamo contro i mali della malattia e della guerra, è essenziale ricordare il desiderio universale di felicità e la capacità degli individui di mobilitarsi a vicenda nei momenti di grande bisogno.

La neuroscienza della felicità

Negli ultimi anni i neuroscienziati hanno cercato di individuare dei correlati nel cervello che ci permettessero di definire la felicità in modo oggettivo. Si è così scoperto che è possibile rilevare sistematicamente che le emozioni negative sono correlate ad attivazioni nella corteccia prefrontale destra, mentre quelle positive sono associate alla parte sinistra. È stato persino verificato che è possibile sollecitare emozioni positive nell’emisfero sinistro tramite stimolazioni magnetiche, una terapia utilizzata nei casi di depressione grave.

Eppure, queste scoperte non sono sufficienti a fornirci un riscontro oggettivo della felicità, dal momento che, come esseri umani, sperimentiamo un senso di benessere anche non connesso a sensazioni spiacevoli, o persino connesso a sensazioni spiacevoli.

La motivazione si esprime nel nostro cervello attraverso l’attivazione dei così detti “circuiti di salienza”. Questi circuiti si attivano quando siamo motivati all’ottenimento di qualcosa a cui attribuiamo valore, indipendentemente dal fatto che quel qualcosa sia piacevole. Il circuito cerebrale chiamato “sistema di ricompensa” registra una gratificazione anche tramite stimoli nocivi. Ciò significa che possiamo essere pienamente motivati a ricercare cose per noi fortemente dannose, come nel caso delle dipendenze, siano essere psicologiche o da sostanze. Significa anche che la felicità che traiamo dal raggiungimento di ciò che ci prefissiamo è di altro tipo rispetto al piacere immediato.

La felicità si impara

Dunque, se la felicità un parametro intrinsecamente soggettivo questo significa che non si può educare? Secondo Pedagogia per il Terzo Millennio non è del tutto vero.

Il fatto che la felicità sia una categoria percepita come soggettiva ci induce nell’errore di non attribuire alcun valore alle definizioni, mentre definire è un processo indispensabile per la mente al fine di trovare qualsiasi cosa. Imparare a definire il proprio stile di felicità, ad esempio se di tipo edonistico o eudemonico, e porsi degli obiettivi in relazione ad essa ci permette di godere di più del quotidiano, sapendo distinguere cosa ci avvicina alla felicità che desideriamo e cosa ce ne allontana.

Come dimostrano ormai numerosissime ricerche, felicità è innanzitutto relazione e, prima di ogni altra, relazione con sé stessi. Possiamo imparare a porci alcune semplici ma potenti domande come: Cosa è la felicità per me oggi? Cosa mi rende felice? Cosa posso fare per rendere felici gli altri?

Se ci impegneremo in questo apprendimento e aiuteremo i bambini e ragazzi che ci sono affidati in quanto genitori, insegnanti, educatori tutti, staremo facendo qualcosa di molto concreto e significativo per lo sviluppo dell’autoconsapevolezza. Imparare a distinguere quali fiori vogliamo coltivare nel giardino della nostra mente è indispensabile per essere felici. Nel processo educativo che ci porta a divenire consapevoli di come essere felici, ci accorgeremo che probabilmente il giardino della nostra mente è affollato di cose che non ci appartengono affatto e che sono state lasciate lì nel corso del tempo. I nostri genitori, i diversi attori sociali, modelli culturali e portatori di interessi diversi, concorrono a formare in noi bisogni che non appartengono al nostro sé più autentico. Tutto questo può deviare la ricerca della felicità quotidiana, facendoci immaginare che essa possa dipendere dalla soddisfazione di bisogni secondari, appartenenti ad un’immagine di sé artificiale. Si tratta di un aspetto che richiede la massima attenzione, specialmente nella fase dell’adolescenza, quando le concezioni della propria posizione si stanno formando e assumono caratteristiche che accompagnano l’individuo spesso per tutta la vita.

Ma c’è un segreto che può aiutare ognuno ad individuare la propria autentica felicità, ed è la relazione con gli altri.

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L’altruismo fa la felicità

La ricerca di relazioni di qualità ci aiuta a sviluppare consapevolezza ed essere autentici. La qualità di una relazione, di qualunque tipo essa sia, infatti, si basa sullo scambio autentico tra individualità ed è proprio l’autoconsapevolezza che permette di essere autentici e disponibili a dare e ricevere.

Sviluppando autoconsapevolezza, ci accorgeremo che è possibile determinare fattori oggettivi che ci aiutano ad essere felici. Questi fattori possono prendere forme diverse, ma le ricerche neuroscientifica e psicologica dimostrano che la qualità delle relazioni è un fattore determinante nel benessere soggettivo e collettivo, salute inclusa. Secondo le ricerche, relazioni di qualità sono più determinanti che non l’estrazione sociale di partenza, il quoziente intellettivo o persino i geni.

Così afferma il più duraturo ed importante studio sulla felicità umana, lo “Study of Adult Development” («Studio dello sviluppo adulto») dell’Università di Harvard. Avviato nel 1938 con l’obiettivo di monitorare la vita di 724 adolescenti per capire quali fattori determinassero la loro felicità e salute negli anni, prosegue ancora oggi.

Secondo questo studio c’è un’associazione molto forte tra la felicità dei partecipanti e l’esistenza di rapporti personali soddisfacenti con i propri partner, la famiglia, gli amici e i circoli sociali più vicini. Relazioni di buona qualità risultano d’aiuto nel far fronte alle difficoltà, ritardano il declino fisico e cognitivo durante l’avanzare dell’età, e sono associate in generale a maggiori probabilità di vivere una vita lunga e felice.

Le relazioni che producono benessere non sono, però, solo quelle con le persone a noi più vicine. Inversamente, secondo studi svolti da Srinivasan e colleghi nell’ambito delle neuroscienze cognitive, un’attitudine prosociale porta ad un ampliamento delle percezioni e, viceversa, percezioni più ampie portano ad un incremento del comportamento prosociale. In un esperimento, i soggetti a cui erano stati compiti che richiedevano percezioni più ampie, donavano in seguito di più ad organizzazioni benefiche.

La ricerca ha verificato che l’altruismo inteso come impegno sociale migliora il benessere soggettivo degli attori e anche degli osservatori. Questa associazione positiva tra altruismo e benessere sembra essere bidirezionale, in quanto si è osservato che le persone più felici si impegnano maggiormente nell’altruismo.

In diversi studi, ad alcune persone è stato dato del denaro da donare agli altri, mentre ad altre è stato dato del denaro da tenere: il primo gruppo è risultato più felice.

Inoltre, quando il benessere delle persone aumenta grazie all’esperienza di un aiuto altruistico, esse diventano più propense ad aiutare gli altri, creando una spirale virtuosa.

È stato dimostrato che quando le persone scelgono di aiutare gli altri, sperimentano una maggiore attività sistema di ricompensa del cervello.

Come ha affermato Lev Tolstoj: La felicità è tale solo se condivisa.

Fai oggi un gesto di concreto altruismo.
Sostieni la ricerca e dona felicità.

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Sitografia

 

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