Skip to main content
Neuroscienze della solidarietà

Neuroscienze della solidarietà

L’evoluzione alla base della gentilezza

L’egoismo e il tornaconto personale sono considerati la principale motivazione dietro le nostre scelte, un elemento imprescindibile della “natura umana”. Eppure, la nostra specie è proprio una delle più cooperative e solidali in tutto il regno animale. I comportamenti altruistici sono molto diffusi, che si tratti di eventi occasionali o solidarietà organizzata e duratura. Che succede quando il senso di empatia nei confronti della condizione altrui si trasforma in spinta ad agire per il loro bene, a volte sacrificando anche il nostro?

Aiutare fa stare bene: “l’helper’s high”

La motivazione più basilare che spinge le persone a essere gentili nei confronti dei propri simili è che è fisicamente piacevole. Dal punto di vista fisiologico, un atto di gentilezza o solidarietà scatena infatti un vero e proprio “rush” ormonale. Una combinazione di neurotrasmettitori, come ossitocina, dopamina e endorfina, provoca una sensazione di felicità e euforia.

Questo fenomeno viene denominato “helper’s high”. Si potrebbe tradurre come “sballo dell’aiutante” per la sensazione di benessere paragonabile a quella suscitata da alcune sostanze stupefacenti. Avviene anche una riduzione degli ormoni dello stress come il cortisolo, e la sensazione permane anche dopo l’atto solidale vero e proprio.

Nelle persone più altruiste, avviene una vera e propria riorganizzazione a livello cerebrale, con un incremento dell’attività della corteccia temporale superiore e la creazione di nuove connessioni neuronali, mediata dall’ossitocina e dall’endorfina, in un circolo virtuoso. Studi di risonanza magnetica funzionale hanno mostrato anche solo l’atto di immaginare compassione e gentilezza (verso se stessi o gli altri) attiva i meccanismi di regolamentazione emotiva del cervello, rinforzando il comportamento altruistico e motivandoci a compierne sempre di più.

  • l'amore si impara booklet

    L'AMORE SI IMPARA

    Scarica l’edukit e inizia ad allenare la tua intelligenza emotiva

    "*" indica i campi obbligatori

    Dati Anagrafici*
 

Solidarietà e benessere

Aiutare non ci fa solo sentire bene, ma migliora anche la nostra salute globale, come ci ricorda anche la psicoterapeuta Ariadne Rossetti, da anni volontaria della Carovana del Cuore di Fondazione Patrizio Paoletti, la campagna che sostiene il benessere degli adolescenti, diffondendo al contempo il potente messaggio di “Vivi appassionatamente”.

Studi della Carnegie Mellon University hanno mostrato come, a lungo andare (circa 200 ore di volontariato), atti di solidarietà portino in chi li compie a un riduzione dell’ipertensione, con di conseguenza una maggiore salute cardiocircolatoria negli over 50. Il sistema immunitario ne esce rinforzato e si riducono gli indicatori dello stress e dell’infiammazione. Come suggerisce un altro studio statunitense svolto su 13mila partecipanti e durato 4 anni, chi aiuta gli altri regolarmente vive più a lungo e ha un maggiore benessere psicofisico rispetto alla media.

L’effetto si sperimenta anche su chi riceve gentilezza: trattare le persone con cura ed empatia in contesti clinici e terapeutici, ad esempio, si traduce in una maggiore soddisfazione da parte dei pazienti una riduzione del numero di visite successive, e in alcuni casi un vero e proprio miglioramento dell’esito clinico. Il rapporto medico-paziente viene vissuto come una sorta di alleanza da entrambi i partecipanti, e aiuta anche a gestire meglio il burnout lavorativo col quale il personale sanitario si trova spesso ad avere a che fare.

Un meccanismo di rinforzo sociale

Il rilascio di ormoni associati al piacere è un sistema che l’evoluzione biologica ha messo a punto per incentivare quei comportamenti che incrementano le nostre probabilità di sopravvivenza. Deve esserci dunque un qualche tipo di vantaggio evolutivo nell’aiutare gli altri, anche a discapito dei propri interessi: il tornaconto personale deve in qualche modo bilanciare l’impegno in tempo, risorse e in alcuni casi sicurezza, speso in atti solidali.

L’ipotesi di neuroscienziati e biologi evoluzionisti, quindi, è che aiutare gli altri sia vantaggioso anche per chi lo fa. Una maggiore coesione sociale all’interno del gruppo ci rende meno vulnerabili in caso di problemi personali o situazioni di crisi generali. Se posso contare sull’aiuto degli altri in momenti difficili, allora ho una maggiore probabilità di cavarmela e passare i miei geni alle generazioni successive: allo stesso modo, un membro del mio gruppo può fare altrettanto se può contare su di me.

Questo bilanciamento di favori e aspettative incrementa le rispettive probabilità di sopravvivenza più di quanto avrebbe fatto mettersi l’uno contro l’altro. In termini evolutivi, la cooperazione può battere la competizione. Per questo la selezione naturale ha incentivato i comportamenti altruistici, portando all’insorgenza dell’empatia e della gentilezza.

E come in molti meccanismi psicologici evolutisi in passato, all’interno di un gruppo relativamente ridotto, i suoi effetti permangono anche al di fuori del gruppo. Si tratta di un effetto collaterale positivo che ci porta a sperimentare empatia, compassione e voglia di aiutare. Anche nei confronti di persone molto lontane e diverse da noi.


    Sostieni la divulgazione scientifica

    Scegli l'importo della tua donazione

Bibliografia
  • Lara Dossey (2018), The Helper’s High, Explore Nov;14(6):393-399. https://doi.org/10.016/j.explore.2018.10.003
  • Nigel Mathers (2016), Compassion and the science of kindness: Harvard Davis Lecture 2015,  Br J Gen Pract. 2016 Jul 1;66(648):e525–e527. doi: 10.3399/bjgp16X686041
  • Sneed, R. S., & Cohen, S. (2013). A prospective study of volunteerism and hypertension risk in older adults. Psychology and Aging, 28(2), 578–586. https://doi.org/10.1037/a0032718
  • Eric S. Kim et al, (2020), Volunteering and Subsequent Health and Well-Being in Older Adults: An Outcome-Wide Longitudinal Approach, American Journal of Preventive Medicine, Volume 59, Issue 2, August 2020, Pages 176-186 https://doi.org/10.1016/j.amepre.2020.03.004
  • Clarissa Guidi & Chiara Traversa, (2021) Empathy in patient care: from ‘Clinical Empathy’ to ‘Empathic Concern’  Med Health Care Philos, . 2021 Jul 1;24(4):573–585. doi: 10.1007/s11019-021-10033-4
  • Goetz, J. L., Keltner, D., & Simon-Thomas, E. (2010). Compassion: An evolutionary analysis and empirical review. Psychological Bulletin, 136(3), 351–374. https://doi.org/10.1037/a0018807
Immagini

Sii parte del cambiamento. Condividere responsabilmente contenuti è un gesto che significa sostenibilità

Alleniamo l'intelligenza emotiva: che emozione ti suscita questo articolo?

Loading spinner

Potrebbe interessarti

Più resilienti a stress ed emozioni negative

Fondazione Patrizio Paoletti al Workshop Europeo di Neuro-psicologia Cognitiva

Più resilienti a stress ed emozioni negative muovendosi verso il Sé più profondo: sono questi i ris…
Motivazione e lavoro

Motivazione e lavoro

Lavorare stanca, e se questa stanchezza non è per noi in qualche modo motivata da una giusta ricomp…
Amicizia in adolescenza

Quanto è importante l’amicizia nell’adolescenza?

“L’amicizia è d’aiuto ai giovani perché evitino gli errori […] quando due uomini vanno assieme sono…
Intelligenza Artificiale

Intelligenza Artificiale: una forza motrice del progresso umano

L'intelligenza Artificiale (IA) sta trasformando silenziosamente settori cruciali per il nostro fut…

    Iscriviti alla newsletter

    NEWSLETTER GEN

    Modulo per l'iscrizione alla newsletter FPP

    Nome(Obbligatorio)
    Email(Obbligatorio)
    Privacy Policy(Obbligatorio)
    Questo campo serve per la convalida e dovrebbe essere lasciato inalterato.