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Salute mentale

Compassione

Cosa intendiamo per compassione

Molti di noi confondono la compassione con l’empatia, perché la assimilano con la capacità di mettersi nei panni dell’altro. In realtà si tratta di due dimensioni diverse: l’empatia è la percezione che abbiamo dei sentimenti, pensieri e azioni altrui, mentre la compassione è un’emozione positiva che si manifesta quando non solo percepiamo la sofferenza di un’altra persona, ma cerchiamo anche di alleviarla. La compassione quindi va oltre l’empatia, configurandosi ad un livello più alto. Compassione significa letteralmente ‘soffrire-con’ (dal latino ‘cum-patire’) e richiede la capacità di riconoscere ciò che prova l’altro, senza giudicarlo. In psicologia e neuroscienze, la compassione è oggetto di molti studi che cercano di comprendere le radici di questo sentimento, come essa possa essere sviluppata e come possa influire sul benessere psicologico e fisico delle persone.

Neuroscienze della compassione

Secondo una prospettiva evolutiva e funzionale dei sistemi motivazionali sociali di base (ad esempio, vivere in gruppo, formare gerarchie e ranghi, ricercare relazioni sessuali, partner, aiutare e condividere alleanze e prendersi cura dei parenti) e dei diversi sistemi emotivi funzionali (ad esempio, rispondere alle minacce, ricercare risorse e raggiungere stati di soddisfazione/sicurezza), Paul Gilbert sostiene che, circa 2 milioni di anni fa, i (pre)umani hanno iniziato a sviluppare una serie di competenze cognitive per ragionare, riflettere, anticipare, immaginare, mentalizzare e creare un senso di sé socialmente contestualizzato. Queste nuove competenze possono trovarsi in conflitto con l’organizzazione dei sistemi motivazionali ed emotivi più vecchi, dal momento che il nostro cervello ha un “design” di base che viene facilmente innescato da minacce a cui risponde con comportamenti distruttivi e problemi di salute mentale.

Tuttavia i mammiferi, e in particolare gli esseri umani, hanno anche evoluto motivazioni ed emozioni per comportamenti affiliativi, di cura e altruistici che possono organizzare il nostro cervello in modo tale da compensare significativamente il nostro potenziale distruttivo. La capacità delle persone di accedere, tollerare e dirigere (mentalmente) le motivazioni e le emozioni affiliative, per sé stessi e per gli altri, e coltivare la compassione interiore è, dunque, un percorso per organizzare il cervello umano in modi prosociali e mentalmente sani. In linea con questa prospettiva, i dati di un recente studio di Kim e colleghi apparso sulla rivista Nature suggeriscono che le immagini di autocritica possono attivare percorsi sottocorticali simili a quelli dell’elaborazione di stimoli minacciosi, attivati automaticamente e inconsciamente. Tanto tali percorsi subcoscienti per l’elaborazione delle minacce, quanto quelli dell’auto-compassione coinvolgono l’amigdala e la corteccia visiva.

Come si manifesta la compassione?

La compassione può essere praticata attraverso l’empatia, l’attenzione e la gentilezza. L’empatia ci permette di comprendere le emozioni degli altri, l’attenzione ci fa avvertire le loro necessità, mentre la gentilezza ci permette di essere presenti e di agire per alleviare la sofferenza. Tutte queste abilità possono essere sviluppate attraverso la meditazione, l’allenamento mentale e la pratica della self-awareness. In particolare la pratica della self-awareness, attraverso l’impegno a essere presenti nel momento e a prestare attenzione alle nostre emozioni e a quelle degli altri, può essere un valido aiuto a sviluppare la compassione sia verso sé stessi che verso gli altri.

L’autocompassione

L’auto-compassione (molto spesso citata come ‘selfcompassion’ lasciando il termine originale inglese) è una forma di compassione verso sé stessi. È stata introdotta come soggetto di studio da Kristin Neff – una psicologa statunitense dell’Università di California – in un suo libro del 2003. Da allora l’auto-compassione è stata oggetto di oltre 500 studi scientifici, che ne hanno dimostrato i molti benefici. Quando siamo compassionevoli nei confronti di noi stessi, riusciamo ad accettare le nostre imperfezioni e le nostre difficoltà senza giudicarci eccessivamente. Un atteggiamento compassionevole di fronte a sé e alle proprie vulnerabilità punta a scardinare abitudini di pensiero autocritico: accettarsi significa sviluppare un nuovo modo di prendersi cura di sé e di volersi bene. L’auto-compassione può aiutare a ridurre lo stress e l’ansia e migliorare il benessere psicologico. Ad esempio, se ci sentiamo tristi o depressi, possiamo iniziare a essere compassionevoli con noi stessi invece di giudicarci negativamente. Questo aiuta a ridurre l’intensità delle emozioni negative e ad aumentare la resilienza.

Tutti i vantaggi di un atteggiamento compassionevole

La compassione verso gli altri ha numerosi vantaggi per la salute mentale e fisica. Quando ci concentriamo sulle necessità degli altri, riusciamo a creare relazioni significative e positive. La ricerca scientifica ha evidenziato i molti vantaggi connessi alla compassione. Vediamoli insieme:

-Riduce la depressione, l’ansia e lo stress

-Favorisce un’attitudine positiva e gentile verso situazioni e persone

-Allevia lo stress e previene il burnout lavorativo

-Rafforza il sistema immunitario

-Abbassa la pressione sanguigna

-Riduce il dolore cronico

-Ha un potente effetto palliativo nelle malattie terminali e aumenta la durata della vita

Dote innata o acquisita?

La risposta a questa domanda non è univoca, perché gli studiosi hanno osservato che sia la genetica che l’ambiente possono influire sulla sua formazione. Secondo le scienze umane la compassione è un sentimento innato ed essenziale nelle relazioni umane. Gli studi hanno mostrato la sua dimensione soprattutto biologica: essa è legata alle capacità di accudimento dei genitori, che John Bowlby ha reso celebri nelle sue ricerche sul legame di attaccamento. Allo stesso tempo, è proprio la corretta formazione del legame di attaccamento nel bambino – quello che Bowlby chiama ‘attaccamento sicuro’ – a consentirgli, una volta giunto all’età adulta, di vivere relazioni equilibrate e di sapersi occupare del bene dell’altro. Si manifesta quindi, nella teoria di Bowlby, una relazione reciproca di elementi genetici e ambientali che consentono e favoriscono la compassione.

La compassione si impara

Grazie alla straordinaria plasticità cerebrale degli esseri umani, la compassione, al pari di ogni altra abilità umana, può essere appresa e potenziata, grazie ad un opportuno processo educativo. Potremmo anzi dire, in definitiva, che la compassione è uno dei più alti raggiungimenti che un processo educativo può realizzare. Come scrive Patrizio Paoletti nel Kit didattico: “Perdono Gratitudine Compassione”:

“La compassione, quindi, alberga in colui che ha gli occhi aperti su se stesso, e guardandosi, e guardando il mondo, si riconosce parte di esso, nel limite e nella possibilità, impegnandosi a cogliere la possibilità e a ridurre il limite. La compassione quindi vive in colui che compie l’azione – e di proposito non dico lo sforzo, perché lo sforzo è tutto ciò che precede quest’azione; l’azione invece di per sé non richiede alcuno sforzo, perché è una semplice illuminazione, è come premere un interruttore e sapere che la luce si accenderà – la compassione, dicevo, vive in colui che compie l’azione della cessazione del delirio di onnipotenza, riducendo se stesso a se stesso. Valutandosi giustamente quindi, giustamente valutando la condizione umana, le sue miserie, i nuovi traguardi possibili per questa specie. La compassione quindi è il vero trampolino di lancio per la nuova vita. Colui nel quale la compassione non alberga, non è di reale vantaggio per il mondo. Soltanto un essere compassionevole rappresenta il vero vantaggio per il mondo, non perché egli faccia più degli altri sforzi per migliorarlo, ma perché egli più degli altri rappresenta il traguardo a cui l’umanità deve giungere. È un passaggio fondamentale. Il mio valore non è nello sforzo, il nostro valore non è nello sforzo, il nostro valore è in cosa ospitiamo in noi.”

 

Patrizio Paoletti, Perdono Gratitudine Compassione, p. 61

 

Bibliografia
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  • Kim, J. J., Parker, S. L., Doty, J. R., Cunnington, R., Gilbert, P., & Kirby, J. N. (2020). Neurophysiological and behavioural markers of compassion. Scientific reports10(1), 6789.
  • Neff, KD. (2023), Self-Compassion: Theory, Method, Research, and Intervention, Annual Review of Psychology, Vo. 74 (193-218), https://doi.org/10.1146/annurev-psych-032420-031047
  • Paoletti, P. (2012). Ararat – Perdono Gratitudine Compassione. Medidiscipline Lda.
  • Paoletti, P. (2019). L’intelligenza del cuore. BUR.
  • Perez-Bret, E., Altisent, R., & Rocafort, J. (2016). Definition of compassion in healthcare: A systematic literature review. International Journal of Palliative Nursing, 22(12), 599–606.
Sitografia

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