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Gli stati di coscienza

Tra veglia e consapevolezza

Sonno, veglia, coma, stato vegetativo… Il nostro cervello può attraversare stati di coscienza differenti. Questi sono caratterizzati da distinti pattern di attività neurale, di connettività tra le diverse aree e dalla presenza di determinate frequenze cerebrali. Vediamo insieme quali sono gli stati di coscienza, in cosa si differenziano, il loro significato in ambito clinico e come il cervello sia in grado di passare da uno stato all’altro, riorganizzando la sua attività.

Gli assi della veglia e della consapevolezza

Per catalogare i diversi stati di coscienza tra loro, molti neuroscienziati fanno utilizzo di un grafico a due assi, proposto per la prima volta dal neuroscienziato Steven T. Laureys, nel 2005. L’asse delle X è quello della veglia (wakefulness), ovvero del livello di coscienza, ossia: quanto siamo svegli? Avere gli occhi aperti ed essere reattivi nei confronti degli stimoli esterni caratterizza uno stato di veglia. L’asse delle Y riguarda invece la consapevolezza (awareness), ovvero il contenuto della coscienza, ovvero: di cosa siamo consapevoli? Se ci rendiamo conto della presenza di un oggetto, oppure una sensazione, ne siamo consapevoli. Tuttavia, questo non dipende necessariamente dalla presenza fisica dell’esperienza in questione, che potrebbe anche essere immaginata o sognata.

Se uniamo veglia e consapevolezza in un grafico, possiamo identificare stati di coscienza specifici. Una persona pienamente consapevole e sveglia si troverà in uno stato di veglia cosciente: ha gli occhi aperti, è vigile, reagisce agli stimoli ed è consapevole di questa sua capacità. Viceversa, una persona sotto anestesia generale avrà sia un livello basso di consapevolezza che di veglia: dorme profondamente al punto di non reagire nemmeno a uno stimolo doloroso. Ancora più basso sugli assi troviamo il coma, una situazione di totale indifferenza e insensibilità agli stimoli, dalla quale a volte non si è in grado di riemergere. È importante sottolineare che gli stati così delineati sono uno spettro graduale. Non esistono confini netti tra due stati contigui e il cervello è capace di passare da uno all’altro con relativa facilità.

Stati di coscienza

Gli stati del sonno

I livelli di veglia e consapevolezza, assieme al rilevamento delle onde cerebrali corrispondenti, ci aiutano a comprendere meglio i diversi stati del sonno. Il sonno profondo, il più rilassante e riposante, è caratterizzato da onde Delta a bassa frequenza. Ha livelli di veglia e consapevolezza di poco superiori all’anestesia. Man mano che ci spostiamo sull’asse X della consapevolezza, andiamo a incontrare altre fasi del sonno, che il cervello spesso sperimenta in un’unica nottata di riposo. Il sonno REM, caratterizzato da onde Theta e dalla presenza di sogni, ha un maggior livello di consapevolezza. Pur non essendo svegli, nella fase REM abbiamo comunque esperienze di cui a volte siamo in grado di ricordare dettagli il mattino dopo.

Ancora più consapevole, e piuttosto raro, è lo stato di cosiddetto sogno lucido. In questo caso, la persona che sogna è consapevole di sognare e addirittura in grado di influenzare il contenuto del sogno, senza svegliarsi. Si tratta di un’esperienza molto coinvolgente dal punto di vista sensoriale e proposta da una branca della psicologia come una possibile terapia per gli incubi ricorrenti. Muovendoci invece sull’asse Y della veglia, passiamo al sonno leggero e sonnolenza, durante i quali siamo gradualmente più vigili e consapevoli. Infine raggiungiamo la veglia cosciente al pieno risveglio, con il sopraggiungere delle onde Alpha, Beta e Gamma.

L’utilità diagnostica

Unire consapevolezza e veglia in un grafico ci aiuta anche a differenziare stati patologici o alterati di coscienza e determinare potenziali interventi terapeutici. Abbiamo già parlato del coma, che può essere indotto farmacologicamente oppure la conseguenza di un qualche tipo di trauma. Lo stato minimamente cosciente è uno in cui siamo svegli e reattivi, ma poco consapevoli di quello che ci sta succedendo attorno. Uno stato del genere può verificarsi per varie ragioni, tra cui per esempio una concussione, l’assunzione di sostanze stupefacenti, oppure durante un episodio di sonnambulismo. Con un livello di consapevolezza ancora minore si sfocia nel cosiddetto stato vegetativo: la persona presenta tutte le caratteristiche della veglia, compresi gli occhi aperti, ma non ha alcuna consapevolezza di cosa la circonda.

Si tratta di una condizione a lungo termine, non sempre reversibile, provocata da un trauma cerebrale grave. Da un po’ di tempo a questa parte, si sta cominciando a usare il termine “unresponsive wakefulness syndrome” (sindrome da veglia non reattiva) per evitare l’associazione negativa con la parola “vegetale”. Paragonabile anche la cosiddetta sindrome Locked-In, o pseudocoma: la persona è sveglia e consapevole, ma incapace di reagire a causa della paralisi completa dei muscoli, a eccezione dei movimenti dell’occhio. Questa condizione è stata immortalata sul grande schermo dal film Lo scafandro e la farfalla.

 


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E la meditazione?

Come si posizionano gli stati di coscienza raggiunti durante la meditazione sul nostro grafico? Pur non avendo una definizione universalmente condivisa in ambito neuroscientifico, possiamo provare a collocare alcune pratiche meditative in base al livello di consapevolezza e veglia sperimentati dai praticanti e dalle onde cerebrali maggiormente associate. La meditazione più profonda, data la presenza di onde Theta, potrebbe posizionarsi a metà strada tra sonno profondo e stato minimamente cosciente. Il contenuto della coscienza è più introspettivo, concentrato sugli stimoli sensoriali e emotivi interni del corpo piuttosto che sulle esperienze esterne.

La meditazione mindfulness, in cui sopraggiungono anche onde Alpha, presenta una maggiore consapevolezza degli stimoli esterni, rientrando così nello stato di veglia consapevole. La ricerca scientifica sta sempre più studiando la correlazione tra meditazione e stati di coscienza, anche approfondendo, per esempio, l’influenza sulla percezione del tempo. Il vantaggio delle pratiche meditative sta anche nel maggior controllo che possiamo esercitare sul nostro stato di coscienza, riuscendo gradualmente a spostarci intenzionalmente lungo lo spettro delle possibilità.

 


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Bibliografia
  • Aruu, J. et al, (2019), Coupling the State and Contents of Consciousness, Frontiers in Systems Neuroscience, Vol 13 – https://doi.org/10.3389/fnsys.2019.00043
  • Steven Laurey, (2005), The neural correlate of (un)awareness: lessons from the vegetative state, Trends in Cognitive Science, Vol 9 (12), pp 556-559. doi: 10.1016/j.tics.2005.10.010.
Immagini
  • Grafico di Fondazione Patrizio Paoletti, adattato da Laureys (2005)
  • Foto di Amy Treasure su Unsplash

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