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Il cibo come cultura, emozioni e relazioni

Alimentazione consapevole e sostenibile per la salute globale

L’essere umano non mangia solo per fame: il cibo è cultura, emozioni e relazioni. Ci si alimenta per condividere, celebrare, fare una pausa, ma anche per compensare delle sensazioni negative. Diventare consci degli aspetti emotivi e relazionali della nostra alimentazione, che supera il bisogno di nutrizione fisica e biologica, ci aiuta a costruire un rapporto consapevole, positivo ed evoluto col cibo, per la salute globale nostra, della famiglia, comunità e persino del Pianeta.

Il cibo come conforto e segnale

Da quando nasciamo, il cibo rappresenta molto più che una nutrizione fisica. Il latte materno è per il neonato un momento di conforto, rassicurazione, affetto, che lo nutre profondamente a livello emotivo. Attraverso il rapporto col cibo, gli adolescenti possono comunicare un disagio o, viceversa, imparare ad autodeterminarsi nel percorso verso la costruzione dell’identità. In famiglia, il cibo è uno strumento di condivisione, cura reciproca, celebrazione e festeggiamenti, protagonista di un’intima ritualità che costruisce il senso di “casa”. Allo stesso tempo, il cibo può diventare un facile e veloce rifugio, in momenti di stress lavorativo o personale. Se il cibo diviene un conforto non equilibrato, rischia di trasformarsi in un surrogato disfunzionale di amicizie di qualità o del rafforzamento delle risorse interiori.

Il non-rifugio nel cibo

A volte, rifugiarsi nel cibo può arrivare a sembrare, addirittura, l’unica via d’uscita per il dolore e il disagio psicologico. Si tratta però di un conforto breve, che non risolve i nostri problemi e che, anzi, nasconde trappole insidiose per la nostra salute, per esempio il rischio di obesità. Oggi, 6 milioni di italiani sono obesi e 23 milioni gravemente in sovrappeso. Sono i numeri allarmanti che emergono dal documento “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro”, realizzato da Ipsos, I-Com e Università del Piemonte Orientale.

Il grave sovrappeso può tradursi pericolosamente in patologie, sia fisiche che mentali. Studi scientifici testimoniano, per esempio, una relazione bidirezionale dell’obesità con l’ansia e la depressione. Il rifugio nel cibo può tradursi in un vero e proprio circolo vizioso, in cui il disagio si traduce in obesità e questa in depressione, ad aggravare ulteriormente la situazione psicofisica. Il fenomeno dell’obesità ha raggiunto dimensioni tali, in tutto il mondo, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità parla ormai di globesity, una vera e propria epidemia di obesità.

L’Osservatorio Nestlé sui comportamenti alimentari degli italiani testimonia che nel nostro Paese il 68,3% delle persone non ha mai provato un regime alimentare specifico, per provare a stare meglio dal punto di vista fisico e psicologico. Il dato è aggravato da un parallelo esercizio fisico scarso, con il 62,7% degli italiani che non si è mai iscritto a un programma di allenamento e il 17,1% che dichiara di non fare mai esercizio fisico.

Il non-rifugio nell’alcol

Se trovare conforto principalmente nel cibo è una strategia disfunzionale, che ci allontana dai nostri obiettivi di felicità e benessere, il problema si moltiplica se si cerca rifugio nell’alcol. L’OMS ne sottolinea la pericolosa diffusione nel nuovo “Global status report on alcohol and health and treatment of substance use disorders”. Dal documento si evince che, seppure il consumo mondiale di alcolici risulti ridotto dal 2010, restano molto elevati i costi sociali e sanitari connessi. Desta particolare preoccupazione l’abuso giovanile: nel 2019, la percentuale più alta di morti alcol-attribuibili (13%) ha interessato persone di età compresa tra i 20 e i 39 anni. Lo studio suggerisce che le politiche per la sensibilizzazione sul tema risultano insufficienti, con l’urgenza di azioni più impattanti e globali.

L’importanza della relazione

È importante comprendere che, quando sentiamo il bisogno urgente di rifugiarci nel cibo, spesso abbiamo soprattutto bisogno di relazioni di qualità: di essere ascoltati, accolti, compresi, da familiari, amici e colleghi. Riconoscere questo bisogno è essenziale per non cadere nella tentazione di cercare nel cibo un sostituto (impossibile) di una relazione soddisfacente. Se questa è ciò di cui abbiamo necessità, la condivisione a tavola potrebbe essere una prima buona strategia. La scienza ci invita a condividere i pasti con chi amiamo, per proteggere la nostra salute e felicità.

Studi statunitensi hanno già dimostrato un’importante associazione tra la frequenza dei pasti condivisi e il benessere dei bambini. Un nuovo sondaggio internazionale, a cura della Minnesota University, conferma che condividere frequentemente i pasti è significativamente correlato a minori sintomi depressivi, maggiore connessione sociale e livelli più elevati di felicità, con ricadute positive su tutta la famiglia. Secondo l’Osservatorio Nestlé sui comportamenti alimentari degli italiani, nel nostro Paese i bambini tendono a partecipare attivamente anche alla preparazione dei pasti, aiutando a fare la spesa (58,5%), ad apparecchiare la tavola (nel 46,9% dei casi), a cucinare (42%) o a lavare i piatti (19,8%), con una ricca condivisione di competenze ed emozioni, che gira attorno al cibo.

Un primo passo per una buona alimentazione è, quindi, resistere alla tentazione di un pasto veloce e solitario, magari per rincorrere la chimera dell’iperproduttività, e prendersi il tempo per sedersi a tavola e mangiare insieme ad amici, colleghi, parenti e naturalmente i nostri bambini, magari coinvolgendoli nella preparazione dei pasti.

Commensalità e convivialità

Una recente review italiana indaga il ruolo della condivisione e della preparazione dei cibi, sottolineando la dimensione profondamente sociale dell’alimentazione. I ricercatori sottolineano la differenza tra semplice commensalità, ossia il mangiare insieme, e la convivialità, che include un’amicizia e vivacità di rapporto. Sarebbe proprio quest’ultima a essere intrinsecamente correlata alla cultura della dieta mediterranea, secondo lo studio. La review riporta come le abitudini mediterranee siano associate a una maggiore longevità e un minor rischio di patologie tumorali e cardiovascolari. Potrebbe essere proprio il rilascio di sostanze neurochimiche, come l’ossitocina e le endorfine, collegato alla convivialità, a spiegare alcuni di questi importanti benefici. I ricercatori ci incoraggiano così a sani stili di vita, che promuovano la condivisione conviviale dei pasti, contrastando parallelamente isolamento e solitudine.

Quando la fame è di tempo e spazio

Se a volte si mangia per riempire un vuoto o una carenza emotiva e relazionale, altre volte mangiamo per stress o ansia, in una furia compensatoria. In questi casi, un’alimentazione compulsiva, spinta dal pilota automatico di un disagio o insoddisfazione, potrebbe nascondere un semplice bisogno di tempo e spazio di qualità, anche da soli. Anche in questo caso, la fame è un segnale relazionale, perché il rapporto più importante della nostra vita è proprio con noi stessi. È importante educarci a una disciplina del prenderci cura di noi stessi, imparando la bellezza di tutelare ragionevoli confini, dire qualche “No” e proteggere il nostro equilibrio interiore. Se la bocca ci aiuta a nutrirci, fisicamente ed emotivamente, essa è anche il prezioso strumento per comunicare i nostri sacri bisogni alla rete sociale, compresi familiari, colleghi e amici.

L’alimentazione plant-based

Accanto al “Come mangiare”, un’alimentazione consapevole passa necessariamente dal “Cosa mangiare”, per coltivare il benessere di tutta la famiglia, anche a tavola. Suggerimenti preziosi arrivano dalla Società Italiana di Nutrizione Umana che, in occasione del Congresso Nazionale di giugno, ha presentato la V revisione dei LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana. Centocinquanta esperti di nutrizione si sono riuniti per definire i nuovi standard per una nutrizione ottimale, puntando sull’alimentazione plant-based. L’evoluzione culturale, incoraggiata dal documento, valorizza le fonti proteiche di origine vegetale, sia per la salute che per la sostenibilità della produzione alimentare. I LARN sottolineano l’importanza di minerali e vitamine, ribadendo i limiti di riferimento per zuccheri (non oltre il 15% dell’energia totale) e grassi saturi (meno del 10%).

Alimentazione sostenibile: dalla spesa al frigo

Coltivare un rapporto positivo con l’alimentazione passa da tanti piccoli gesti e azioni quotidiane, che fanno la differenza sulla nostra salute e su quella del mondo. Un’alimentazione veramente buona è anche sostenibile, volta a evitare gli sprechi e ottimizzare le risorse, dal momento della spesa fino alla conservazione dei cibi.

Secondo l’Osservatorio Nestlé sui comportamenti alimentari degli italiani, nella scelta dei prodotti da acquistare facendo la spesa pesano soprattutto il prezzo e le promozioni (nel 57,7% dei casi), mentre la data di scadenza, che è fondamentale per ridurre gli sprechi, interessa solo il 35,3% degli italiani e la confezione sostenibile addirittura solo il 18,2% degli intervistati. Se i dati dimostrano che il nostro carrello tende a essere orientato più dagli aspetti economici che da un intento di alimentazione sostenibile, la qualità degli ingredienti interessa tuttavia il 55,2% dei consumatori, con un segnale migliore per quanto riguarda la consapevolezza dell’importanza di un’alimentazione sana, che diviene anche sostenibile nel lungo periodo, in termini di una migliore salute globale e minore impatto sul sistema sanitario.

Una via per un frigo sostenibile è applicare la semplice regola FIFO, sostenuta anche dal Ministero della Salute. Praticare la FIFO – First In First Out significa consumare per primi i cibi che abbiamo per primi riposto nel frigorifero.

Per facilitarla, possiamo abituarci a disporre i nuovi alimenti dietro o sotto quelli già presenti. I benefici non saranno solo per l’ambiente e per il portafoglio, sollevati da inutili sprechi, ma anche per la psiche. Un frigo più ordinato ci restituirà, infatti, un’immagine più armoniosa, in cui specchiarci per lavorare meglio anche sull’ordine e armonia interiori. L’ecologia della mente sottolinea proprio la profonda interconnessione tra il nostro benessere e gli ambienti, che comprendono anche la cucina e il frigorifero. “La casa è il vostro corpo più grande“, scriveva Kahlil Gibran, sottolineando il rapporto e l’unione tra spazi interiori ed esteriori. Agire consapevolmente e in modo costruttivo sul nostro ambiente quotidiano favorisce una buona introspezione e le funzioni cognitive, diventando un allenamento mentale, una piccola meditazione e un’occasione di crescita.


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Bibliografia
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Sitografia
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  • Obesità: percezioni, ostacoli e strategie. Il modello Italia tra scienza e politica

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  • https://sinu.it/wp-content/uploads/2024/04/6.pdf

  • https://www.who.int/activities/controlling-the-global-obesity-epidemic

  • https://www.nestle.it/nutrizione_salute_benessere/osservatorio_nestle

  • https://www.greenmarketingitalia.com/spesa-sostenibile-come-fare/

  • https://www.confconsumatori.it/spesa-alimentare-sostenibile-cosa-significa-davvero/

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