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Che cos’è il disturbo bipolare?

Che cos’è il disturbo bipolare?

Intervista al professor Gianluca Castelnuovo su caratteristiche, sintomi e approcci terapeutici

Secondo il DSM-5, il disturbo bipolare è un disturbo dell’umore caratterizzato dall’alternanza di episodi maniacali (umore elevato) e depressivi (umore basso). Ne abbiamo parlato con Gianluca Castelnuovo, Professore Ordinario di Psicologia Clinica e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica all’Università Cattolica di Milano. Castelnuovo è inoltre Direttore del Laboratorio di Ricerche Psicologiche e Responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano.

Cos’è il disturbo bipolare?

CastelnuovoPossiamo considerare il disturbo bipolare come un disturbo dell’umore in cui il tono dell’umore varia da una condizione di grande o media euforia (un umore espansivo o elevato) a una condizione che è quella depressiva in cui l’umore tocca un picco basso. Questa instabilità deve avere una certa durata, si parla di giorni o settimane. Quando il disturbo bipolare è caratterizzato da oscillazioni tra fasi maniacali di euforia eccessiva, tale da portare a situazioni disfunzionali, e fasi di depressione parliamo di Disturbo Bipolare di I tipo, quello più grave. Esiste però anche un Disturbo Bipolare di II tipo in cui si passa da una fase di euforia minore rispetto al precedente tipo, ovvero non così esagerata da parlare di disfunzione, alla fase depressiva. Il vero bipolare, quello al quale comunemente facciamo riferimento quando parliamo di questo disturbo, è quello che appartiene al I tipo.

Quali sono le caratteristiche e i sintomi principali del disturbo bipolare?

La caratteristica principale del disturbo bipolare è l’oscillazione tra fasi maniacali e fasi depressive. Quando parliamo di episodio depressivo ci riferiamo a una serie di condizioni tra cui perdita di interesse nelle attività che si fanno, alterazioni del sonno e dell’appetito, una certa agitazione, sintomi d’ansia, senso di fatica e di inutilità, senso di colpa per non essere produttivi nella società o per dipendere dagli altri per la cura, scarsa concentrazione, fino ad arrivare ad avere pensieri di morte e di suicidio nell’episodio depressivo più estremo.

Quali sono le cause del disturbo bipolare?

Le cause in letteratura non sono così note. Dobbiamo sempre ricordare che parliamo di una certa vulnerabilità che può esserci dal punto di vista genetico: la genetica è un elemento di base con il quale dobbiamo fare i conti. Per esempio possono esserci rischi maggiori se uno dei, o entrambi i, genitori hanno già avuto questo tipo di problema. Ma spesso attribuiamo alla genetica troppa importanza perché a fare la differenza è l’espansione della genetica, quella che si chiama epigenetica: l’ambiente sommato alla genetica può portare a certe situazioni e ad aumentare i fattori di rischi.

Cosa vuol dire che l’ambiente favorisce l’espressione di alcuni geni piuttosto che altri? Se io ho avuto dei traumi nell’infanzia o attraversato eventi stressanti molto forti nel corso della mia vita, come separazioni, un lutto in età in cui non ero pronto ad affrontarlo, conflitti familiari o relazionali, grossi cambiamenti in fasi più avanzate della vita, per esempio sul lavoro, possono favorire l’emergere di questo disturbo. Grande importanza hanno ovviamente anche le risorse individuali di una persona che possono agire come fattori protettivi, tra queste possiamo pensare a una famiglia che ha protetto l’individuo dopo un trauma, all’ambiente sociale e alle amicizie, a uno stile di vita regolare.

Quanto è diffuso il disturbo bipolare nella popolazione?

Quando parliamo di disturbi della salute mentale parliamo di disturbi con basse percentuali. I dati a livello internazionale possono arrivare al 3%, in Europa e in Italia parliamo di 1 o 1,5 %. Il rischio comunque è la sottostima. Però, attenzione, si tratta di casi molto impegnativi da gestire e dietro ogni caso ci sono 3 – 4 persone condizionate dalla patologia: i familiari, i caregiver, il partner, i figli, i genitori…

Il disturbo bipolare può manifestarsi anche nei bambini e negli adolescenti?

Per quanto riguarda l’età d’esordio, la maggior parte dei casi compaiono nella fascia più critica che è quella dei 15-25 anni, con il 70% dei casi certificati che compaiono prima dei 20 anni. L’età critica in cui si manifesta, esplode ed è evidenziabile il disturbo bipolare è questa. Può emergere anche in età più adulta se si subiscono traumi in età più avanzata ma è più facile che compaia nella fascia 15-25. Il problema ulteriore è che in quella fascia assistiamo al passaggio dall’età pediatrica a quella adulta al compimento dei 18 anni con conseguente passaggio di consegne a diverse equipe mediche. Ci troviamo di fronte quindi al problema della continuità terapeutica, che non sempre viene assicurata al paziente.

Nel tempo ci sono stati dei cambiamenti nei fattori di rischio e protettivi per lo sviluppo del disturbo bipolare?

Direi di sì. Lo sviluppo equilibrato di una persona dovrebbe prevedere certe esperienze di gestione della frustrazione, delle difficoltà e di situazioni spiacevoli. Diventiamo grandi dal punto di vista emotivo quando viviamo esperienze in cui impariamo a gestire la frustrazione, i no, la sconfitta. Questa cosa ci rafforza dal punto di vista emotivo. A scuola purtroppo di emozioni non si parla. Oltretutto durante il lockdown alcune condizioni hanno favorito un apprendimento a distanza e l’utilizzo delle tecnologie ma hanno evitato certe situazioni naturali di apprendimento a livello emotivo: stare con i compagni, vivere gli intervalli, le discussioni.

In altre parole, la socialità. Parliamo di tutte quelle situazioni intorno alla scuola: prima, durante e dopo. Tutto questo in quel periodo si è perso e aver mancato questa tappa evolutiva di crescita, per le fasce adolescenziali, quelle più a rischio per il disturbo bipolare, ha creato delle difficoltà. L’uso eccessivo delle tecnologie, poi, legato al lockdown, è un fattore di rischio nuovo: rifugiarsi nel web, vivere una vita virtuale, sostituire la propria persona con un avatar è un problema di oggi. E quando i giovani devono affrontare la realtà si ritrovano ad essere un po’ in difficoltà nell’affrontare le emozioni.

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Quali approcci terapeutici si sono dimostrati più efficaci?

La psicoterapia è fondamentale per trattare il disturbo bipolare e lavorare sulla gestione degli sbalzi d’umore, attraverso tecniche per evitare di cadere nel baratro quando si è depressi o di esagerare con una certa attività quando ci si trova nella fase maniacale. La psicoterapia quindi porta ad acquisire capacità di finalizzare le azioni, di sfruttare delle risorse, di sapersi frenare o di recuperare quelle attività che possono dare un senso alla giornata nella fase depressiva. Come approccio parliamo soprattutto di terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Poi c’è il supporto psicologico sulle capacità di affrontare le varie situazioni di up e down, e tutto un tema di psicoeducazione cioè accompagnare la persona ad avere uno stile di vita abbastanza costante, abitudini sane da mantenere costantemente per trarne beneficio. Sono temi di psicologia della salute, accompagnamento a uno stile di vita funzionale. Possono essere utili anche esercizi di mindfulness per riprendere una sorta di sintonia con il momento attuale.

Certamente si lavora anche con i famigliari: nessuna terapia è solo individuale, ormai. In seduta si lavora con la singola persona che però porta la rete dentro di sé. Si informa quindi la famiglia, si chiede ai famigliari di esseri complici in alcuni comportamenti, per stimolare o meno il paziente in alcuni casi specifici. Si educano i famigliari a capire quando è il momento di intervenire. Se abbiamo i famigliari dalla nostra parte gli esiti della terapia sono migliori. Nel caso del disturbo bipolare, poi, i farmaci, sempre comunque associati alla psicoterapia, possono essere molto efficaci. I cosiddetti “stabilizzatori dell’umore” richiedono un grande controllo dal punto di vista medico ma hanno un effetto molto utile.

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    Tutti i contenuti di divulgazione scientifica di Fondazione Patrizio Paoletti sono elaborati dalla nostra équipe interdisciplinare e non sostituiscono in alcun modo un intervento medico specialistico. Se pensi che tu o qualcuno a te vicino abbia bisogno dell'aiuto di un professionista della salute mentale, non esitare a rivolgerti ai centri territoriali e agli specialisti.



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