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Neuroni specchio: la prospettiva della PTM – Parte I

I neuroni specchio consentono di capire come comprendiamo gli altri

A cura di Antonella Selvaggio, Psicologa psicoterapeuta

neuroni specchio, scoperti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma inizialmente nei macachi e successivamente negli esseri umani, sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. I neuroni di chi osserva “rispecchiano” il comportamento osservato come se a compiere l’azione fosse l’osservatore stesso, che sente, percepisce e si attribuisce gli stessi sentimenti e vissuti di chi compie in prima persona l’azione.

La scoperta dei neuroni specchio consente di capire come percepiamo e comprendiamo gli altri, invitando a nuove riflessioni in ambito pedagogico. I risultati della ricerca delle neuroscienze cognitive invitano, infatti, a comprendere come queste conoscenze possano e debbano influenzare anche ciò che pensiamo sia necessario insegnare, in particolare nella prima infanzia e soprattutto come farlo. La scoperta dei neuroni specchio invita a una possibile ridefinizione del processo insegnamento-apprendimento, in quanto sottolinea la rilevanza nello sviluppo e acquisizione del sapere dell’esperienza pratica, in particolare di quella motoria e rimanda ad un concetto di intelligenza profondamente attinente all’interazione e all’apprendimento per imitazione.


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Perfino la comprensione semantica del linguaggio è mediata, secondo gli studiosi di ambito, da meccanismi di simulazione, che vedono alla base del funzionamento del linguaggio il coinvolgimento del sistema motorio: i ricercatori sostengono che alcuni dei concetti normalmente utilizzati nel linguaggio e nel pensiero hanno probabilmente radici senso-motorie.

Il meccanismo di funzionamento dei neuroni specchio fornisce una chiave di lettura essenziale, biologicamente fondata, delle basi della reciprocità nella relazione con gli altri. Inoltre il meccanismo specchio ha un ruolo essenziale nella comprensione di come si costruisce l’identità sociale: l’essere umano è in grado di riconoscere l’altro come simile a se stesso dal momento che ne condivide le stesse esperienze che gli consentono di capire che le basi neurologiche e psicologiche del comportamento manifesto sono le stesse per tutti i componenti della specie e pertanto rendono gli essere umani simili tra loro.

Ampliando il campo d’indagine agli uomini, il gruppo di ricercatori di Parma ha dichiarato che la comprensione delle caratteristiche di attivazione diretta di questa classe di neuroni determina per gli individui uno spazio d’azione condiviso, che origina forme di interazione sempre più elaborate. La capacità di alcune parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui espresse attraverso il volto, i gesti, i suoni e, la capacità di codificare istantaneamente questa percezioni in termini motori, rende ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale atto ad ottenere quella che i ricercatori chiamano “partecipazione empatica”.

Inoltre, studiando sperimentalmente il meccanismo di base della comprensione delle azioni e delle emozioni, si è potuto constatare che le emozioni primarie osservate negli altri suscitano anche nell’osservatore la manifestazione “a specchio” delle stesse emozioni. Insomma quando osserviamo un nostro simile che manifesta dolore, disgusto, piacere, gioia, paura o sorpresa in noi stessi si attiva lo stesso substrato neurale collegato alla percezione diretta della stessa emozione.

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Bibliografia
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In fotografia (nella parte alta dell’articolo): Valerie Jane Morris-Goodall, meglio nota come Jane Goodall (Londra, 3 aprile 1934), è un’etologa e antropologa britannica. È nota soprattutto per la sua ricerca (durata 40 anni) sulla vita sociale e familiare degli scimpanzé. Dirige l’organizzazione Jane Goodall Institute, che si occupa dello studio e della protezione dei primati in diverse zone del mondo.

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