
Neuroscienze della solitudine e dell’isolamento
Cosa succede al cervello quando è solo
L’essere umano è una specie sociale, e la sensazione soggettiva di solitudine non è altro che un segnale biologico del nostro cervello per ricordarci che abbiamo bisogno di altre persone nella nostra vita. Non sorprende quindi che solitudine e isolamento sociale raramente ci facciano stare bene: alla lunga, il cervello di una persona sola va incontro a veri e propri cambiamenti strutturali e fisiologici, che ci rendono più diffidenti e aggressivi. Chiedere aiuto e sostegno sociale per uscire da questo circolo vizioso diventa così sempre più difficile. Esiste tuttavia anche una solitudine positiva, autoimposta e consapevole, che ci permette di apprezzare meglio il tempo passato con noi stessi.
INDICE
ToggleProblemi di salute derivanti dalla solitudine
Come molti stati emotivi complessi, definire la solitudine dal punto di vista scientifico non è facile. La maggior parte degli studi va a indagare quindi sulla solitudine autopercepita, ovvero se la persona coinvolta dichiara di sentirsi sola o isolata. Dal punto di vista statistico, la solitudine è associata a:
- un aumento dell’incidenza di malattie cardiovascolari
- delle patologie oncologiche
- dell’ipertensione
- dei disturbi del sonno
- delle malattie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer.
La solitudine è una condizione trasversale, che influenza le categorie più varie: giovani con difficoltà di socializzazione, adulti con un cattivo bilancio casa-lavoro, anziani con pochi familiari… Secondo un sondaggio Gallup del 2023, effettuato in 142 paesi, il 27% degli under 15 dichiara di sperimentare solitudine, contro il 25% degli adulti e il 17% degli anziani, con le donne in media che si sentono più sole rispetto agli uomini.
Si tratta a tutti gli effetti di un questione di salute globale, che va a impattare anche sul tasso di mortalità: un’analisi di oltre 90 studi scientifici ha rivelato un incremento del rischio di mortalità prematura del 14% nel caso della solitudine e del 32% nel caso dell’isolamento sociale. Queste percentuali aumentano in persone con problemi di salute mentali preesistenti.
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Cosa succede in un cervello solo
L’aumento della neurochinina B
L’isolamento prolungato induce dei veri e propri cambiamenti nel cervello: uno studio della Caltech University su topi tenuti in isolamento per due settimane ha mostrato un notevole incremento di una proteina, la neurochinina B. Questa proteina è coinvolta nei circuiti cerebrali di risposta alla paura e all’aggressività, rispettivamente all’interno dell’amigdala e dell’ippocampo. I topi tenuti in isolamento mostravano un comportamento più diffidente e aggressivo e un corrispondente aumento di neurochinina B in queste aree cerebrali.
I ricercatori, andando a intervenire sulla loro fisiologia e sopprimendo la produzione di questa proteina, hanno ridotto i comportamenti di paura e aggressività nei topi isolati, rendendoli simili a quelli degli altri topi. Viceversa, aumentando artificialmente la produzione di neurochinina B in topi non tenuti in isolamento, sono riusciti a indurre in loro gli stessi comportamenti asociali dei topi isolati.
Circuiti neuronali per un bisogno primario
Altri studi effettuati dall’Imperial College London e dal Massachusett Institute of Technology sono andati a indagare sui possibili circuiti neuronali collegati alla solitudine e alla regolazione del comportamento sociale. Andandoli a stimolare, i ricercatori sono stati in grado di indurre nei topi la ricerca di una compagnia.
Un altro studio su esseri umani del MIT ha mostrato come anche una solitudine breve stimoli il nostro cervello alla ricerca degli altri, come se si trattasse di un bisogno primario. Nell’esperimento, 40 volontari hanno prima passato 10 ore da soli, senza alcun contatto, per poi passare 10 ore in compagnia, ma senza mangiare. I ricercatori hanno poi scansionato il loro cervello tramite risonanza magneticaLa risonanza magnetica (RM) è una tecnica non invasiva di i... Leggi funzionale mentre li sottoponevano a immagini di cibo o di contesti sociali. Le scansioni del cervello dei partecipanti hanno rilevato un’attività significativamente maggiore nel mesencefalo quando venivano presentati segnali di natura sociale. Tuttavia, quando i soggetti erano affamati ma non avevano sperimentato l’isolamento sociale, reagivano con la stessa intensità ai segnali legati al cibo, ma non mostravano una risposta analoga a quelli sociali. Le stesse aree cerebrali venivano coinvolte: è come se un cervello solo sia “affamato” di contatto sociale.
Quando la solitudine aiuta
Gli studi sulle modificazioni cerebrali indotte dall’isolamento offrono possibili soluzioni terapeutiche alla solitudine, possibili target sui quali andare ad intervenire a livello neurologico. Tuttavia, non tutta la solitudine viene per nuocere: può rappresentare una scelta voluta, un’opportunità per ritagliarsi uno spazio personale.
Prendersi del tempo per stare da soli diventa un modo per ritrovare quiete interiore e rivolgere l’attenzione verso se stessi. In questo contesto, la solitudine assume un significato di ascolto profondo e accogliente, diventando una pausa rigenerante dal frastuono della vita quotidiana, come sottolinea Tal Dotan Ben-Soussan, direttrice dell’Istituto RINED di Fondazione Patrizio Paoletti.
La solitudine cercata non è un modo per allontanarsi dal mondo o dalle relazioni, bensì una decisione consapevole per favorire il proprio benessere, con l’obiettivo di tornare più centrati e rinnovati nei rapporti sociali. Un elemento fondamentale di questa forma di solitudine benefica è il silenzio cercato, che aiuta in attività di meditazione, introspezione e creatività. Queste pause dalle relazioni sociali aiutano a ricaricare le nostre batterie, migliorando di conseguenza le nostre necessarie relazioni con gli altri.
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Anna J Finley & Stacey M Schaefer, Affective Neuroscience of Loneliness: Potential Mechanisms underlying the Association between Perceived Social Isolation, Health, and Well-Being, J Psychiatr Brain Sci. 2022 Dec 26;7(6):e220011. doi: 10.20900/jpbs.20220011
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Fan Wang et al, A systematic review and meta-analysis of 90 cohort studies of social isolation, loneliness and mortality,Nature Human Behaviour volume 7, pages 1307–1319 (2023), https://doi.org/10.1038/s41562-023-01617-6
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Moriel Zelikowsky et al, The Neuropeptide Tac2 Controls a Distributed Brain State Induced by Chronic Social Isolation Stress, Cell, 2018 May 17;173(5):1265-1279.e19. doi: 10.1016/j.cell.2018.03.037.
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Livia Tomova et al, Acute social isolation evokes midbrain craving responses similar to hunger, Nature Neuroscience volume 23, pages 1597–1605 (2020), https://doi.org/10.1038/s41593-020-00742-z
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Neurophysiology Of Silence, Progress In Brain Research, Volume 277, 2023, Elsevier
- Foto di tawatchai07 su Freepik
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