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Salute mentale

Disturbo dissociativo

Disturbo dissociativo: quando la mente si scollega da sé stessa

La dissociazione è un meccanismo della mente che “scollega” temporaneamente aspetti dell’esperienza che normalmente funzionano insieme: memoria, identità, percezioni corporee, emozioni, senso del tempo. In piccolo, capita a tutti: guidiamo e arriviamo a destinazione senza ricordare i dettagli, assorti nei pensieri. Il disturbo dissociativo, però, è qualcosa di diverso: la disconnessione diventa frequente, intensa, fuori controllo, e produce sofferenza clinicamente significativa.

Può coinvolgere vuoti di memoria che non si spiegano con la normale distrazione, la sensazione di osservare sé stessi dall’esterno, la percezione che il mondo sia irreale, fino a una marcata confusione o frammentazione dell’identità. Dal punto di vista scientifico, la dissociazione è intesa come una risposta adattiva a stress estremi o prolungati, utile nel breve periodo per “spegnere” il dolore psicologico, ma costosa quando si cronicizza perché separa troppo l’esperienza.

È un fenomeno più comune di quanto si creda, che può coesistere con ansia, depressione o disturbo post-traumatico. Riconoscerlo è importante: capire che cosa succede al cervello e alla mente permette di ridurre lo stigma e di scegliere percorsi di cura fondati su evidenze.

Quali sono i principali tipi di disturbo dissociativo?

I disturbi dissociativi non si presentano tutti allo stesso modo: la ricerca clinica li ha distinti in diverse forme, ognuna con caratteristiche specifiche che aiutano a comprenderne meglio la natura e a riconoscerli nella vita quotidiana. Ecco i principali:

  • Amnesia dissociativa: si manifestano vuoti di memoria relativi a eventi personali importanti, spesso traumatici, che non si spiegano con normale dimenticanza o con una condizione medica. Gli intervalli possono durare minuti, ore o giorni. A volte compare la fuga dissociativa, in cui la persona si allontana e può assumere nuove abitudini, con scarso ricordo del passato.
  • Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione: la persona sente il sé come “straniero” (depersonalizzazione) o percepisce l’ambiente come ovattato, distante, irreale (derealizzazione). Le funzioni cognitive restano integre, ma l’esperienza è inquietante.
  • Disturbo dissociativo dell’identità (DID): caratterizzato dalla presenza di due o più stati dell’identità relativamente distinti con alterazioni nella memoria autobiografica e nella continuità del sé. Non si tratta di “personaggi inventati”, ma modi di funzionare nati per gestire traumi o stress. Possono emergere differenze in voce, postura, preferenze.
  • Altri disturbi dissociativi specificati: quadri clinici significativi che non soddisfano pienamente i criteri dei precedenti, come episodi brevi e ripetuti di confusione identitaria o trance indotte da stress. Sono clinicamente rilevanti e meritano valutazione e cura.
  • Dissociazione nel PTSD (sottotipo dissociativo): alcune persone con disturbo post-traumatico presentano depersonalizzazione o derealizzazione prominenti. Riconoscerlo guida gli interventi e il ritmo della terapia.

Da dove nasce la dissociazione? Quali cause e fattori di rischio contano davvero?

Perché alcune persone sviluppano un disturbo dissociativo mentre altre, pur vivendo esperienze difficili, no? Le risposte non sono semplici, ma la scienza ha individuato diversi fattori che, combinandosi, aumentano la vulnerabilità. Capire queste radici aiuta a riconoscere il disturbo e a superare pregiudizi ancora molto diffusi.

  • Traumi evolutivi e stress prolungato: abusi, trascuratezza, violenza domestica o bullismo prolungato durante l’infanzia aumentano il rischio. Il cervello in sviluppo impara a “spacchettare” l’esperienza per ridurre il dolore.
  • Eventi traumatici acuti: incidenti, aggressioni, catastrofi possono scatenare dissociazione per proteggere l’organismo dal sovraccarico. Subito dopo l’evento è frequente una “nebbia” percettiva che, se persiste, evolve in quadro clinico.
  • Attaccamento disorganizzato e rotture relazionali: quando la figura che dovrebbe consolare è anche fonte di paura, la mente non ha una strategia coerente. Questo paradosso favorisce divisioni interne dell’esperienza e vulnerabilità dissociativa in adolescenza e in età adulta.
  • Fattori neurobiologici: gli studi suggeriscono un’alterata integrazione tra reti cerebrali che regolano sé, memoria e salienza (es. default mode network, connettività ippocampo–amigdala, modulazione dello stress). Non è “debolezza di carattere”: è neuropsicologia dell’adattamento sotto minaccia.
  • Fattori culturali e contesto: alcune culture prevedono stati di trance rituale non patologici. Il confine con la clinica è dato da sofferenza, perdita di controllo e compromissione del funzionamento sociale o lavorativo.
  • Sostanze e condizioni mediche: uso di sedativi, allucinogeni o crisi epilettiche del lobo temporale possono produrre esperienze simili. Per questo la valutazione deve considerare sempre cause organiche e iatrogeniche.

Come si manifesta nella vita quotidiana e quali sono le ricadute psicologiche e sociali?

La dissociazione ha un impatto concreto su scuola, lavoro, relazioni. Non è solo “sentirsi strani”. Una persona con amnesia dissociativa può scoprire email inviate senza ricordarle; qualcuno con derealizzazione fatica a seguire una riunione perché tutto appare lontano, come dietro un vetro; nel DID, la discontinuità del sé può generare cambi di comportamento che gli altri interpretano come incoerenza o “volubilità”.

Le conseguenze psicologiche includono ansia anticipatoria (“e se succede di nuovo mentre guido?”), vergogna e isolamento. La vergogna contribuisce a mantenere il disturbo: temendo giudizi, molte persone nascondono i sintomi e ritardano la richiesta d’aiuto. Nella sfera sociale emergono incomprensioni: partner e colleghi interpretano i vuoti di memoria come scuse, i cambi di tono come manipolazione. Sul lavoro possono nascere errori, ritardi, conflitti; a scuola, cali di rendimento e assenze.

Spesso coesistono cefalee, disturbi del sonno, somatizzazioni. La comorbilità con depressione e PTSD aumenta il rischio di comportamenti autolesivi, specialmente nei momenti di “stordimento” dissociativo in cui la regolazione emotiva è fragile. Sul piano legale, la dissociazione può complicare testimonianze o ricordi di eventi critici, richiedendo competenze forensi specifiche.

Come si fa diagnosi? Quali strumenti usa il clinico e perché sono importanti?

  • Colloquio clinico e anamnesi centrata sul trauma: il professionista esplora storia di vita, episodi di “perdita di tempo”, sensazioni di distacco, trigger specifici. Domande semplici ma operative (“Le capita di trovarsi in un luogo senza sapere come ci è arrivato?”) aiutano a far emergere fenomeni spesso taciuti per imbarazzo.
  • Scale e interviste standardizzate: strumenti come la Dissociative Experiences Scale (DES) per lo screening, e interviste cliniche strutturate (ad esempio per i disturbi dissociativi) migliorano l’affidabilità diagnostica. Non sostituiscono il giudizio clinico, ma riducono bias e sottostima.
  • Esame dello stato mentale e osservazione: il clinico valuta oscillazioni di voce, postura, cambi di consapevolezza, micro-amnesie durante il colloquio, fluttuazioni nella continuità del racconto. Annotare il contesto e i trigger (stimoli che riattivano ricordi, emozioni o reazione) permette di pianificare la stabilizzazione.
  • Diagnosi differenziale e condizioni mediche: vanno escluse cause neurologiche (epilessia, encefalopatie), effetti di sostanze o farmaci, disturbi psicotici, demenze. In caso di sintomi atipici è utile il consulto con neurologia o medicina interna, e talvolta esami strumentali.
  • Valutazione della comorbilità: ansia, depressione, PTSD, disturbi da uso di sostanze o tratti borderline influenzano il quadro e la prognosi. Riconoscerli guida priorità e ritmo della terapia, evitando interventi troppo rapidi sull’elaborazione del trauma.
  • Coinvolgimento di familiari o figure di riferimento: con consenso dell’interessato, informazioni collaterali aiutano a mappare episodi di assenza, cambi di comportamento e strategie già efficaci. Fornire psicoeducazione alla rete riduce stigma e conflitti.

Si può guarire? Quali trattamenti funzionano e cosa aspettarsi nel percorso?

Il trattamento efficace segue di solito un modello a fasi. La prima fase è la stabilizzazione: si lavora sulla sicurezza, sul sonno, su routine prevedibili e su tecniche di grounding per riancorare l’attenzione al presente: si tratta di semplici strategie pratiche che aiutano a ridurre la sensazione di distacco e confusione tipica della dissociazione. Si introduce la psicoeducazione: capire che cos’è la dissociazione riduce paura e vergogna. La seconda fase, quando i sintomi sono più gestibili, include terapie focalizzate sul trauma, come l’EMDR o approcci cognitivi-comportamentali adattati alla dissociazione.

L’obiettivo non è rivivere tutto, ma integrare in modo tollerabile memorie e significati. Nei casi in cui la persona percepisce parti diverse di sé come separate tra loro si lavora sull’integrazione funzionale: migliorare cooperazione interna, continuità della memoria, consenso sugli obiettivi quotidiani. I farmaci non curano la dissociazione in sé, ma possono alleviare sintomi collaterali (ansia, depressione, insonnia), facilitando il lavoro psicoterapeutico. Nella vita di tutti i giorni aiutano piani pratici: promemoria esterni, quaderni di bordo per gli episodi di “tempo perso”, accordi chiari con familiari e colleghi su come aiutare senza invadere. La prognosi è variabile ma incoraggiante quando si combinano terapia informata sul trauma, alleanza di cura stabile e contesto di supporto. Disinformazione e sensazionalismo online possono confondere: cercare professionisti formati e fonti affidabili è parte della cura.

Bibliografia
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Sitografia
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  • https://www.stateofmind.it/disturbo-dissociativo/page/2/ Consultato ad ottobre 2025
  • https://www.psychiatry.org/patients-families/dissociative-disorders/what-are-dissociative-disorders Consultato ad ottobre 2025
  • https://www.nami.org/about-mental-illness/mental-health-conditions/dissociative-disorders/Consultato ad ottobre 2025
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