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La ricerca sull’Alzheimer

Gli avanzamenti sulla diagnosi, trattamento e prevenzione

A più di 100 anni di distanza dalla sua prima scoperta, la malattia di Alzheimer rimane ancora una sfida aperta per la ricerca scientifica. La patologia ha sintomi ben riconoscibili, tra cui il declino cognitivo progressivo, la perdita della memoria, le difficoltà di orientamento e di linguaggio. Tuttavia, le cause dell’Alzheimer sono molto meno note. Sono molti i fattori che potenzialmente contribuiscono a questa condizione, tra cui propensioni genetiche, stile di vita, ipertensione e benessere psicologico. Gli over 65 risultano i più colpiti e al giorno d’oggi non esiste ancora una cura per questa malattia neurodegenerativa. In occasione del mese dell’Alzheimer, facciamo il punto dell’attuale ricerca scientifica sull’argomento. Oltre che cercare di comprendere le vere cause di questa malattia ancora misteriosa, la battaglia si sta svolgendo su tre fronti principali: diagnosi precoce, trattamento farmacologico e prevenzione.

La strada dei biomarcatori

Poiché il fattore scatenante dell’insorgenza dell’Alzheimer è ancora poco noto, e i sintomi non sempre definiti in maniera univoca, i ricercatori utilizzano una serie di biomarcatori per confermare la sua presenza. I biomarcatori sono una tipologia di caratteristiche biologiche (di solito molecole), misurabili tramite test e la cui presenza è associata a una particolare malattia, o a un maggiore rischio di contrarre questa malattia.

Un elevato livello di zucchero nel sangue, per esempio, è un tipico biomarcatore del diabete. Al giorno d’oggi, i principali marcatori dell’Alzheimer sono la proteina Tau e i beta amiloidi. La proteina Tau è utilizzata dai neuroni che, quando smettono di funzionare correttamente, creano dei grovigli proteici, rilevabili tramite un test del fluido cerebrospinale. Similmente, i beta amiloidi sono i principali componenti delle placche amiloidi, depositi di scarti neuronali che si ammassano nell’encefalo. Come una sorta di discarica che non viene smaltita più, le placche amiloidi compromettono il corretto funzionamento del cervello.

Spesso, rivelare questi biomarcatori non è altro che la conferma di un declino cognitivo già ampiamente in corso. Ecco perché si stanno cercando nuovi biomarcatori che permettano di scovare le avvisaglie dell’Alzheimer in maniera precoce, e tramite test meno invasivi del prelievo di fluido spinale. È possibile, ad esempio, identificare una riduzione della massa cerebrale o del consumo di glucosio, entrambe caratteristiche associate all’Alzheimer, tramite scansioni cerebrali a risonanza magnetica o tomografia PET. Si stanno anche esplorando in via sperimentale test del sangue, della saliva, della pelle e scansioni retinali, che, se approvati, permetterebbero una diagnosi non invasiva e senza la necessità di macchinari di scansione. La diagnosi precoce dell’Alzheimer è importante perché permette di agire a livello preventivo, riducendo di gran lunga i costi e i tempi dei trattamenti successivi.

 


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I farmaci sperimentali contro l’Alzheimer

Gli unici farmaci disponibili in Italia vanno ad agire alleviando i sintomi dell’Alzheimer e non le sue cause. Attualmente prescritti gratuitamente da centri specializzati ai pazienti con malattia di Alzheimer di gravità lieve-moderata, sono il donepezil (Aricept o Memac), la rivastigmina (Exelon o Prometax) e la galantamina (Reminyl).

Agevolare la rimozione delle placche amiloidi

Nel frattempo, va avanti la corsa per lo sviluppo di una cura farmacologia, tuttora assente, contro l’Alzheimer. Il primo a far parlare di sé è stato Aducanumab, sviluppato dalle aziende biomediche Biogen e Eisai. Agisce andandosi a legare alle proteine beta amiloidi per agevolare la rimozione delle placche. Fu approvato nel 2021 dalla FDA Food and Drug Administration, l’organismo che si occupa di vagliare l’utilizzo dei farmaci negli Stati Uniti, ma non mancarono le controversie: tre consiglieri della FDA diedero le dimissioni poiché non convinti dall’effettiva efficacia del farmaco, che presenta effetti collaterali rischiosi. Le stesse aziende produttrici hanno smesso di produrlo per focalizzare i loro sforzi su Lecanemab, un anticorpo monoclonale che sembra essere più sicuro e la cui approvazione per l’uso sugli esseri umani è ancora sotto esame presso la European Medicine Agency.

Modulare il sistema immunitario

L’ultimo arrivato è Donanemab, da poco approvato dalla FDA statunitense ed è oggetto di trial clinico presso la Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency britannica. Questo farmaco agisce diversamente a quelli già citati, che vanno somministrati per via endovenosa una volta al mese e per tutta la vita. Invece che legarsi alle placche amiloidi durante la loro formazione iniziale, Donanemab “inganna” il sistema immunitario del paziente in modo che identifichi e attacchi gli accumuli già formati di beta amiloide come corpi estranei da rimuovere.  A differenza di Lecanemab, il trattamento con Donanemab può essere interrotto una volta che il cervello del paziente ritorna sotto una soglia tollerabile di amiloidi. I risultati preliminari dei trial clinici sono promettenti, ma attualmente, nessuno di questi farmaci per l’Alzheimer è ancora approvato in Europa, e tutti presentano effetti collaterali da monitorare costantemente, come ad esempio emorragie ed edemi cerebrali.

Trattamento e prevenzione

L’opzione più praticabile, in attesa di nuovi farmaci e marcatori, rimane dunque quella della prevenzione. Per ridurre il rischio di insorgenza dell’Alzheimer ci si può affidare a tutte quelle strategie di stile di vita salutare, che si sono dimostrate efficaci nel rallentare il declino cognitivo in età avanzata:

  • Attività fisica: svolgere esercizio fisico regolare, anche solo camminando 4400 passi al giorno, è un toccasana per il corpo in generale, il benessere psicofisico e la salute del cervello in particolare. Il movimento aiuta anche a ridurre l’ipertensione, uno dei principali fattori di rischio per molte malattie principali.
  • Una dieta salutare: il cervello è molto influenzato dalla nostra alimentazione, e alimenti antiossidanti o oli omega-3 sono molto efficaci nel rafforzare la memoria. Una dieta sana aiuta anche a tenere sotto controllo il livello di zuccheri nel sangue.
  • Smettere di fumare e bere con moderazione: alcool in eccesso e fumo compromettono la salute del cervello a lungo termine.
  • Una rete di sostegno: è fondamentale, come per tutte le questioni di salute mentale e cerebrale, coltivare legami sociali che, non solo mantengono attive le capacità cognitive, ma permettono di avere dei punti di riferimento nel caso di bisogno.

Sostenere la ricerca

Oltre 50 milioni di persone soffrono di Alzheimer, che è responsabile del 60 per cento del totale dei casi di demenza. Per la vastità del fenomeno, la ricerca su questa malattia attrae miliardi di finanziamenti: progetti di ricerca legati alla demenza ricevono quasi 280 miliardi di euro all’anno in tutta Europa. In Italia sono stati stanziati 15 milioni di euro in tre anni con la Legge di Bilancio del 2021 tramite il “Fondo per l’Alzheimer e le Demenze”.

È essenziale continuare a sostenere la ricerca su tutti e tre i fronti della diagnosi, trattamento e prevenzione, per proteggere la salute globale degli anziani di oggi e di domani. Fondazione Patrizio Paoletti coordina e realizza iniziative di inclusione sociale, come il progetto AIDA, che coniuga innovazione clinica, museale, artistica, digitale e tecnologica, per il benessere di pazienti con Alzheimer e caregiver. Nel suo Istituto di Ricerca RINED, inoltre, studia i potenziali benefici del mindful movement, come il Quadrato Motor Training, sulle malattie neurodegenerative, coniugando le millenarie tradizioni meditative alla più avanzata ricerca neuroscientifica.

 


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Bibliografia
  • Alzheimer’s Association, (2023), Biomarkers and Alzheimer’s disease, alz.org
  • Hannson, O. et al, (2023), The Alzheimer’s Association appropriate use recommendations for blood biomarkers in Alzheimer’s disease, Alzheimer’s & Dementia, Vol (12) , pg 2669-2686. doi: 10.1002/alz.12756
  • Sims, J. R. et al. (2023, Donanemab in Early Symptomatic Alzheimer Disease: The TRAILBLAZER-ALZ 2 Randomized Clinical Trial. JAMA, vol 330, 512

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