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Autoconsapevolezza e meditazione: alla ricerca del sé

I meccanismi alla base dell’autoconsapevolezza

Cosa vuol dire essere se stessi? Questa domanda ha da sempre interessato, non solo la filosofia e la curiosità umana in generale, ma anche le neuroscienze. Quali sono i meccanismi alla base dell’autoconsapevolezza, quel processo attraverso il quale riusciamo a rappresentare noi stessi a noi stessi? Ci sono delle aree fisiche del cervello dove questi processi hanno luogo? E quali pratiche possono aiutare a raggiungere uno stato di maggiore consapevolezza di sé?

Alla ricerca delle basi neurologiche del Sé

Una delle metodologie più utilizzate per scoprire quali parti del nostro cervello sono coinvolte in un determinato processo è la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Questa tecnica permette di visualizzare l’attività cerebrale in base ai cambiamenti del flusso sanguigno nella materia grigia. Questo sarà più intenso nell’area coinvolta rispetto al resto del cervello. I ricercatori possono quindi congegnare esperimenti e monitorare le aree più attive. In questo caso, possono chiedere ai partecipanti di riflettere su di sé o di visualizzare mentalmente il proprio corpo. Ne emerge un quadro complesso. Riflettere su di sé coinvolge diverse aree cerebrali: la corteccia prefrontale mediale, quella posteriore parietale, la cingolata posteriore e quella anteriore. La percezione delle sensazioni del proprio corpo (il cosiddetto “embodiment”) sembra coinvolgere invece la giunzione temporo-parietale, che integra gli stimoli sensoriali. La corteccia ventromediale prefrontale processa e collega, invece, le nostre memorie, importantissime per ricordare a noi stessi chi siamo. Uno studio dell’Università di Bologna su pazienti con una lesione a quest’area ha rivelato che soffrivano di problemi al loro senso di identità. C’è anche chi, come il neuroscienziato V. S. Ramachandran, sostiene che l’autoconsapevolezza non risieda in una zona specifica, bensì in un tipo di neuroni. La teoria chiama in causa i neuroni specchio, che si attivano quando osserviamo qualcun altro compiere una determinata azione, facendocela percepire come se la stessimo facendo in prima persona. Nel caso dell’autoconsapevolezza, si rivolgerebbero “verso l’interno”, invece che verso l’esterno, contribuendo a darci una rappresentazione dei nostri stessi processi cerebrali.

 


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Le teorie del Sé e il Modello Sferico

Si delinea un quadro tutt’altro che semplice, mentre l’area precisa associata all’autoconsapevolezza, se mai ne esistesse una sola, continua a sfuggire. In attesa di prove inequivocabili dalle scansioni cerebrali, le neuroscienze si dedicano a modelli per provare a teorizzare come il tutto possa funzionare. I primi tentativi si ebbero ben prima che la scansione cerebrale fosse possibile. Già agli inizi del 1900 lo psicologo e filosofo statunitense William James propose l’esistenza di due tipi di Sé. Il Sé Minimo si concentra sul “qui e ora”, emerge dall’autoconsapevolezza di esistere nel mondo come unità sensomotoria. Il Sé Narrativo, invece, elabora un’immagine coerente di noi stessi, basata sulle nostre memorie, su ciò che raccontiamo di noi stessi agli altri e le prospettive future. Questi concetti furono poi rielaborati in modo sistematico dallo scienziato cognitivo Shaun Gallagher. Questi propose un’interazione fra le due dimensioni del Sé, che contribuiscono con pesi diversi all’immagine che abbiamo di noi stessi. La ricerca si è nel frattempo concentrata sul trovare correlati elettrofisiologici di queste due dimensioni, passando dall’ambito fenomenologico a quello neuroscientifico. Un’ulteriore elaborazione arriva proprio dal lavoro di Patrizio Paoletti tramite il Modello Sferico della Coscienza. Questo aggiunge una terza dimensione, quella del Superamento del Sé, una sorta di “coscienza senza contenuti” correlata a una saturazione sensoriale endogena. Il senso di sé scompare, per essere sostituito da una capacità di attenzione profonda e diffusa verso quello che ci circonda. Il Modello Sferico è stato concepito anche con intenti educativi e figura tra le linee guida UNESCO “Humanistic Future for Learning”.

Le onde cerebrali dell’autoconsapevolezza

Ognuna delle tre dimensioni del Sé, secondo le ricerche dell’Istituto RINED di Fondazione Patrizio Paoletti, è associata a un particolare tipo di onda cerebrale. Queste oscillazioni dell’attività neurale si suddividono in base alla loro frequenza. Prendono, quindi, il nome dalla forma dell’onda sull’elettroencefalogramma: alpha, beta, delta, gamma e theta. Nel prossimo articolo vedremo insieme quali sono le caratteristiche di queste onde e a quali dimensioni del Sé corrispondono. Esploreremo anche come le pratiche di meditazione, e in particolare l’uso del silenzio, siano in grado di incrementare l’autoconsapevolezza fino al raggiungimento dello stato di Superamento del Sé.

 


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Bibliografia
  • Modinos G, Renken R, Ormel J, Aleman A. (2011), Self-reflection and the psychosis-prone brain: an fMRI study. Neuropsychology, Volume 25(3):295-305.
  • Paoletti, P., Leshem, R., Pellegrino, M., & Ben-Soussan, T. D. (2022). Tackling the Electro-Topography of the Selves Through the Sphere Model of Consciousness. Frontiers in Psychology, 1534.
  • Stendardi D, Biscotto F, Bertossi E, Ciaramelli E, (2021). Present and future self in memory: the role of vmPFC in the self-reference effect, Social Cognitive and Affective Neuroscience, Volume 16 (12), 1205–1213.
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