
Che cos’è il disturbo antisociale di personalità?
Intervista al professor Gianluca Castelnuovo su caratteristiche, fattori di rischio e protettivi
Oggi parliamo di disturbo antisociale di personalità. Il manuale MSD lo descrive come “una malattia di salute mentale caratterizzata da uno schema pervasivo di disinteresse per le conseguenze e per i diritti degli altri“. Ma quali sono le sue caratteristiche, i fattori di rischio e protettivi per il suo sviluppo? Affrontiamo il tema con Gianluca Castelnuovo, Professore Ordinario di Psicologia Clinica e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica all’Università Cattolica di Milano. Castelnuovo è inoltre Direttore del Laboratorio di Ricerche Psicologiche e Responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano. E psicologo e psicoterapeuta del Comitato Scientifico del Quotidiano della Salute.
Che cos’è il disturbo antisociale di personalità?
Che cosa caratterizza un disturbo della personalità?
Come si riconosce il disturbo antisociale di personalità?
Quali sono gli elementi distintivi del comportamento antisociale?
Qual è il legame tra antisocialità e criminalità?
Ci sono degli elementi distintivi da un punto di vista cognitivo e affettivo?
C’è una componente genetica nello sviluppo del disturbo antisociale di personalità?
Quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo del disturbo antisociale di personalità?
Esistono possibilità di terapie per il disturbo antisociale di personalità?
La prevenzione educativa con Fondazione Patrizio Paoletti
Che cos’è il disturbo antisociale di personalità?
Per il disturbo di personalità si possono trovare anche altre diciture, che sono il disturbo dissociale e la cosiddetta psicopatia. Vengono utilizzati vari termini e storicamente questo disturbo è sempre stato molto considerato dalla psicopatologia e dalla clinica psicologica, perché molto impattante a livello sociale. Stiamo parlando di un disturbo antisociale, ovvero che non risponde pienamente a quelle che sono le caratteristiche di rispetto delle regole.
Nell’antichità si poteva considerare addirittura come espressione di forze demoniache o addirittura connesso alla possessione di un demone. Ovviamente ogni cultura ha cercato di dare una spiegazione ai comportamenti dissonanti rispetto alle regole. Nell’epoca moderna, a tutti gli effetti, è considerato un disturbo di personalità. Cioè non tanto legato a un singolo sintomo o a un singolo aspetto della vita della persona, ma alla personalità. A qualcosa che invade la persona in tutti i suoi aspetti.
Che cosa caratterizza un disturbo della personalità da un disturbo non della personalità?
Faccio un esempio per capire la differenza tra un disturbo di personalità e non di personalità, perché è uno dei concetti più importanti. Uno degli esempi più semplici è quello dell’ossessivo compulsivo. Esiste l’ossessivo compulsivo come disturbo non di personalità, in cui magari una persona è normalissima in tantissimi ambienti, però, per esempio, nel lavaggio delle mani o con il controllo della pulizia o con la chiusura del gas o della porta, esprime un sintomo in maniera molto estrema. Però nel resto della vita non ci si accorge nemmeno del disturbo, perché ha un funzionamento normale. Questo è un ossessivo compulsivo non di personalità, dove il sintomo è concentrato in un ambito specifico.
L’ossessivo compulsivo di personalità, invece, magari non ha un sintomo così estremo, cioè non controlla venti volte il gas, o non arriva a dover pulire le mani dieci o undici volte, però ha un atteggiamento di fondo pervasivo, persistente in un po’ tutti gli ambiti. Per cui ci tiene al controllo, all’ordine, alla pulizia. Ci tiene che le cose siano messe a posto, che siano ben organizzate. Questo può diventare un disturbo. Qualcosa che crea un impatto, un disagio in una delle aree del funzionamento della vita, che sia lavorativa, professionale, extra-lavorativa, personale o relazionale. Se non crea un impatto, allora non è un disturbo ossessivo compulsivo di personalità. Semmai potrebbe trattarsi di un po’ di perfezionismo.
Il confine è sottile perché bisogna capire se crea o non crea disagio, indipendentemente se la persona se ne accorge, perché una caratteristica di tanti disturbi è che spesso la persona non è consapevole e, anzi, attribuisce la colpa agli altri. Certamente, un antisociale non dice “purtroppo sono uno che non rispetta le regole”, ma anzi si lamenta del fatto che gli altri le impongono o pensa che gli altri meritino che qualcuno non le rispetti, quasi come una sorta di punizione.
Come si riconosce il disturbo antisociale di personalità?
A livello di possibilità di diagnosticare questo disturbo, tradizionalmente si aspetta l’età adulta, nel senso che bisogna lasciare che una persona, prima di tutto, cresca e si formi una personalità.
I segni nell’infanzia
Quello che invece si può vedere nell’infanzia di queste persone, a volte, è ciò che si definisce un disturbo del controllo degli impulsi o un disturbo oppositivo-provocatorio. Questo si riesce a diagnosticare già a scuola: il minore ha un comportamento ribelle, non sta mai fermo a scuola, in classe, non rispetta i compagni, non rispetta le regole, i turni, picchia i compagni, si lamenta con loro. Non si tratta, anche qui, della nota isolata dell’anno, ma di un comportamento ripetitivo continuo. Se si arriva molto spesso a questo tipo di diagnosi, prima dei 18 anni, poi si tende ad avere anche la conferma di questi comportamenti anche nell’età adulta.
La diagnosi
Ci sono vari sistemi per diagnosticare questo tipo di problematiche: c’è quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per esempio, o quello più riconosciuto nell’ambito psicologico-psichiatrico, ossia del DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che è arrivato alla quinta edizione. Nel DSM V non esiste più il tema della psicopatia, ma si parla di disturbo antisociale di personalità. Attenzione, non esiste però un manuale che sia teorico e privo di condizionamenti: ci sono dietro diversi movimenti, anche di carattere politico, che influenzano l’inserimento nelle etichette, o industriali-farmaceutici.
Quali sono gli elementi distintivi del comportamento antisociale?
Gli elementi fondamentali di una persona con disturbo antisociale di personalità comprendono comportamenti spesso aggressivi, impulsivi, sconsiderati in vari ambiti. Non intendiamo solamente la criminalità, cioè commettere qualcosa contro la legge, ma anche, per esempio, la gestione della propria economia. Spesso si parla di investimenti azzardati, si perdono soldi, non si riesce a proteggere il proprio patrimonio.
Poi, certo, si può arrivare anche al comportamento criminale, però prima di tutto c’è un comportamento non funzionale anche per i propri averi. Lo stile di vita antisociale porta anche a ricercare il brivido, l’impulsività, l’irresponsabilità, l’attività criminale, un comportamento disinibito, senza freni, compreso l’uso di sostanze.
Qual è il legame tra antisocialità e criminalità?
Non è detto che necessariamente si arrivi al crimine. Un conto è il criminale, secondo la giustizia, un conto è il disturbo antisociale, secondo la psicopatologia. Posso avere un antisociale che difficilmente matura consapevolezza, ma non è mai arrivato all’estremo, o posso avere un criminale che non è assolutamente un antisociale, che per esempio lo è diventato per necessità finanziarie: la mia famiglia rischia di rimanere povera, io ho perso il lavoro e mi dispiace tantissimo fare un danno agli altri, ma sento di doverlo fare per mantenere la mia famiglia. In questo caso non si tratta di disturbo antisociale, perché c’è un senso di rimorso e di consapevolezza che sto facendo una cosa sbagliata, ma la sto facendo per una necessità superiore, che è mantenere la mia famiglia.
Antisociale non vuol dire necessariamente criminale e criminale non vuol dire antisociale. Poi chiaramente, purtroppo, succede che molto spesso le due cose vanno insieme.
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Ci sono degli elementi distintivi da un punto di vista cognitivo e affettivo?
Da un punto di vista cognitivo-affettivo, c’è l’elemento della menzogna, della manipolazione, della mancanza di rimorso. La mentalità antisociale prevede anche il pensare a comportamenti distruttivi o autodistruttivi, cioè pensare che distruggere sia la soluzione.
Si tratta di personalità tormentate, non contente e soddisfatte. Non siamo di fronte al narcisista, contento di essere superiore agli altri, o all’istrionico, che si vuole mostrare. La personalità antisociale è tormentata, alla ricerca continua del riscatto, della soddisfazione, della giustizia, ovviamente di una loro idea di giustizia.
La carenza di affetto ed empatia
Nella personalità antisociale, l’affetto è solo superficiale, non è profondo verso le altre persone. Poi c’è la anche questione di tendere a non immedesimarsi, per esempio, nell’altro, nella sua sofferenza. C’è un problema di carenza di empatia.
Se io credo che quando produco un danno a un’altra persona avrò un rimorso o un senso di colpa, tendo a limitare, quantomeno, il danno. Non è detto che vada proprio a chiedere scusa, però non andrò a infierire, se ho già provocato un danno. Facciamo un esempio: se ho investito una persona, magari volevo farla franca e scappare, però non è che scappo a cuor leggero, ho un rimorso. Magari poi, dopo qualche giorno, arrivo a denunciarmi, perché c’è dentro di me un po’ di consapevolezza.
Qui parliamo invece di persone che non hanno nessun problema ad andare via, se non addirittura a inferire sulla vittima: c’è un desiderio di provocare del danno, ma perché si attribuisce all’altra persona la responsabilità. Allora si sente dire: “Io sono in questa condizione perché è colpa vostra, è colpa del sistema, è colpa dell’altra persona, l’altra persona si merita questa punizione”. C’è la tendenza a dare la colpa agli altri, con una mancanza di responsabilità personale, insensibilità e carenza di rimorso.
Il problema della regolazione emotiva
C’è anche una bassa tolleranza alla frustrazione. Se c’è una provocazione, un imbarazzo, come una contesa in piazza o un momento in cui una persona fa un’accusa o alza la voce, c’è una bassa tolleranza alla frustrazione. C’è un problema di controllo delle emozioni.
Uno dei problemi principali della società di oggi, anche se indipendentemente dal disturbo antisociale di personalità, è il tema della regolazione emotiva e della disregolazione emotiva. Oggi le persone, di fronte a certe emozioni forti, non sanno più controllarsi, per cui poi possono commettere più facilmente degli atti estremi o usano delle parole fuori luogo. Lo vediamo anche in televisione: c’è una difficoltà a controllare gli impulsi.
C’è una componente genetica nello sviluppo del disturbo antisociale di personalità?
C’è sicuramente, come in tutti i disturbi, una componente genetica, però è molto più forte la componente educativa ambientale di crescita. Il crescere, per esempio, in un ambiente senza regole e ad alto rischio sicuramente può essere un fattore negativo. Un conto è crescere in un ambiente tranquillo, sicuro, molto accudente, e un conto è crescere in un ambiente dove per sopravvivere bisogna, per esempio, diventare i bulli del quartiere.
Quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo del disturbo antisociale di personalità?
Conoscere i fattori di rischio è importante perché sui fattori di rischio si può lavorare. Se io so che la frequentazione di ambienti malfamati è un fattore di rischio, posso fare in modo che i ragazzi vadano all’oratorio o frequentino ambienti con valori diversi, riducendo quindi il fattore di rischio.
Un fattore di rischio è la storia dei comportamenti antisociali precedenti: se io ho avuto, anche nell’infanzia o nell’adolescenza, comportamenti di questo tipo, magari con una diagnosi di disturbo oppositivo-provocatorio, è più facile che svilupperò il disturbo antisociale di personalità nell’età adulta.
Un altro fattore di rischio è la frequentazione di individui antisociali, perché io non invento un modello se non lo vedo. Per esempio, nel diventare genitore, spesso io imparo, dai miei genitori. Magari imparo anche a non fare quello che i miei genitori hanno fatto, quindi vado all’estremo opposto, però un modello di riferimento mi influenza, o nel senso o nell’altro, o nel fare o nel non fare. Avere persone accanto che sono abituate a risolvere le questioni con la prepotenza, la forza, la minaccia, trasmette questo tipo di comportamenti.
C’è anche un problema di legami familiari e legami effettivi aridi, dove non c’è un vero affetto, un vero sentimento, perché è proprio difficile provarlo da parte dei familiari. Spesso le coppie di questi soggetti si costituiscono all’interno di un determinato contesto: si è più colleghi di azioni criminali che veri e propri fidanzati, per esempio.
In questo tipo di problematiche, influenza negativamente anche il basso livello di scolarizzazione, la bassa soddisfazione al lavoro, un fragile livello sociale. Questo può portare alla rivincita, all’atteggiamento negativo verso la scuola e il lavoro. E accanto al lavoro ufficiale, magari si finisce per cercarne uno secondario, illegale.
Poi c’è tutto il tema di quello che si fa nel tempo libero. Un fattore di rischio è non avere soddisfazione nelle attività prosociali, come il volontariato e lo sport, ossia attività che danno molta soddisfazione, ma richiedono forza e sacrifici prima. Queste persone non riescono a sperimentare soddisfazioni vere, io dico di serie A, ossia in quei progetti che non danno una soddisfazione subito: se investo in un progetto di volontariato, per esempio, non ho soddisfazioni il giorno stesso in cui inizio, anzi in principio ho solo difficoltà. Magari ci ho investito anche dei soldi, ci ho messo del tempo, vedo che le persone non mi seguono, è una faticaccia. Però, a un certo punto, il progetto ha la sua espressione: per esempio organizzo un evento per i ragazzi con disabilità, li porto in giro a fare una passeggiata e li vedo finalmente contenti. E sono contento.
Nella personalità antisociale, c’è la difficoltà di direzionare la soddisfazione, di attendere che arrivi una soddisfazione più grossa, più corposa. Queste persone tendono a cercare subito piaceri immediati, che però sono di serie B. Perché di serie B? Perché il piacere di una droga passa immediatamente e, tra l’altro, per avere lo stesso piacere, devo prendere una droga maggiore, con la conseguenza dell’astinenza e della tolleranza. L’abuso di sostanze, come alcol e droghe, è un fattore di rischio, con l’illusione del controllo che in realtà non c’è e il tema della lucidità, per cui non si capisce più se un atto criminale è stato compiuto sotto effetto di sostanze.
Esistono possibilità di terapie per il disturbo antisociale di personalità?
Sì, ovviamente esiste la possibilità di una terapia, ma certamente come in tutti i disturbi di personalità non si può cambiare completamente la personalità. Facciamo di nuovo l’esempio dell’ossessivo-compulsivo: non diventerà mai una persona distratta, disattenta, che non si lava più o che non controlla più, lasciando tutto in disordine. Non sarebbe nemmeno un obiettivo terapeutico. Piuttosto è importante che accetti dei gradi di tolleranza maggiore di flessibilità.
L’esempio per il disturbo ossessivo compulsivo
C’è un bellissimo esercizio che facciamo fare ai pazienti in questa situazione, che è quello del piccolo disordine che mantiene l’ordine: lavorare perché accettino di mantenere un piccolo disordine, ad esempio un capo d’abbigliamento non sistemato nel loro armadio o un angolino del tavolo non pulito. A volte non resistono, quindi il lavoro si fa su quanto tempo resistono: 10 minuti, 15 minuti, 20 minuti. A un certo punto dicono che possono lasciare anche così: ho visto che non è crollato niente, non è morto nessuno, quindi posso darmi permesso di lasciarlo così. Ci si abitua a un grado di ordine e precisione funzionale, non più disfunzionale.
Imparare a fare qualcosa per gli altri
Nel caso dell’antisociale, ci potrà sempre essere la tendenza a non rispettare le regole, per esempio in una coda. Ma oltre a questa tendenza, la terapia mira a una consapevolezza nel dire “sto facendo una cosa che non è opportuna, o sto facendo un torto all’altro”, ma anche a un senso di riscatto: ho fatto tanti danni agli altri, ma adesso voglio fare qualcosa per gli altri. Pensiamo per esempio ai pentimenti nel mondo mafioso, dove la persona si pente e diventa collaboratore di giustizia: fare qualcosa per la comunità, di cui sono stato un predatore, e di cui ora divento un salvatore, un aiutante. Si tratta naturalmente di un lavoro molto difficile, a volte si smussano solo gli angoli della personalità e non la si cambia completamente, ma è un lavoro possibile.
La prevenzione educativa con Fondazione Patrizio Paoletti
Per contribuire a ridurre da un punto di vista ambientale ed epigenetico i fattori di rischio del disturbo antisociale di personalità citati dal Professor Gianluca Castelnuovo, la criminalità e il disagio nei luoghi dove il tessuto sociale è più fragile, Fondazione Patrizio Paoletti investe nei progetti psicoeducativi di Oltre le Periferie, attraverso i quali sviluppa attività socio-educative nelle periferie di Roma e Napoli, contribuendo al contrasto alla povertà e all’isolamento sociale. L’educazione diventa quindi la prima forma di prevenzione alla violenza, promozione della comunità, sostegno alle famiglie e strumento di salute globale.
Oltre le Periferie prevede una serie di attività per ragazzi, genitori, docenti ed educatori nei quartieri di Scampia e di Tor Bella Monaca, rispettivamente a Napoli e a Roma, valorizzando le arti circensi e il movimento corporeo come strumento educativo, la regolazione emotiva e la sensibilizzazione ed educazione socioaffettiva.
- https://www.msdmanuals.com/it/professionale/disturbi-psichiatrici/disturbi-della-personalit%C3%A0/disturbo-antisociale-di-personalit%C3%A0
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