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Neuroscienze e robotica

La ricerca integrata, fra computer e cervello

Nel corso della storia, il cervello è sempre stato associato, a livello simbolico, agli strumenti e le tecnologie di riferimento di una determinata epoca. In passato, il cervello veniva associato ad un abaco, per le sue capacità di calcolo matematico. In seguito alla rivoluzione industriale, emerge l’idea di “cervello come macchina”, fatto di meccanismi complessi e parti che interagiscono tra loro per produrre il pensiero. Più recentemente, a partire dai progressi informatici degli anni Sessanta, ha preso piede l’idea di considerare il cervello come un computer. Per spiegare il suo funzionamento, a livello di similitudine, si utilizzano termini come CPU, banche dati e circuiti neurali. Questo, nonostante un cervello e un computer abbiano molte differenze.

Differenze tra computer e cervello

Il cervello processa informazioni in maniera analogica, con un flusso graduale di informazioni, e non in maniera digitale, ovvero tramite una sequenza discreta di 0 e 1. Il cervello è un organo plastico, in grado di modificare la sua struttura, mentre un computer non può riscrivere i suoi circuiti in maniera autonoma. E un cervello è anche molto più efficiente di un computer a livello energetico, poiché ha bisogno di appena 20 Watts per far funzionare i quasi 100 miliardi di neuroni che lo compongono. Un computer, per effettuare un simile ammontare di operazioni, avrebbe bisogno dell’energia di un’intera centrale idroelettrica. Se i computer fossero più simili al nostro cervello, non solo a livello simbolico, ma anche strutturale, le loro capacità di elaborazione dati e risoluzione problemi ne beneficerebbero enormemente. Ed è proprio questo l’obiettivo di due branche emergenti delle neuroscienze: la neuroinformatica e la neurorobotica.

Cervello come computer, computer come cervello

In termini generali, la neuroinformatica si occupa di studiare il funzionamento del sistema nervoso con l’ausilio di computer e modelli matematici teorici. Data la moderna insostituibilità dei computer nella ricerca, oggi tutta la neuroscienza è in qualche modo neuroinformatica. Esistono, tuttavia, degli specifici sviluppi di questa branca che hanno portato alla progettazione di tecnologie molto simili ai cervelli biologici.

Le reti neurali artificiali, per esempio, sono modelli computazionali digitali che processano informazioni attraverso network di “neuroni” artificiali, e sono molto utilizzate dalle intelligenze artificiali, per risolvere problemi. Pur prendendo ispirazione dal cervello umano, queste reti non “pensano” ancora come una mente biologica. Tuttavia, la loro tecnologia prende in prestito, non solo l’idea di connessione neuronale, ma anche la struttura e il funzionamento dei neuroni.


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La bio-inspired computing

Replicando le connessioni e la morfologia di un cervello reale, le reti neurali replicano anche il flusso di informazioni e una maggior adattabilità, dando origine ad algoritmi in grado di evolvere in maniera più naturale. È la cosiddetta bio-inspired computing, la computazione ispirata dalla biologia. In questo campo, le connessioni tra neuroni artificiali vengono modellate in base a mappe di vere reti cerebrali. Le sinapsi neuronali comunicano tra loro tramite segnali chimici, che sarebbero troppo complicati da replicare in un circuito artificiale, ma possono essere rappresentati da equazioni matematiche.

Anche le tempistiche di trasmissione di informazioni possono essere rese più simili a quelle neuronali, passando da un intervallo ciclico dei computer classici a uno basato sul potenziale di membrana, come nei neuroni veri e propri. Tecnologie di questo tipo vengono definite neuromorfiche, poiché si ispirano al cervello nella morfologia oltre che nel funzionamento. Anche l’efficienza energetica di queste tecnologie è superiore ai computer tradizionali. Chip e computer neuromorfici, come ad esempio BrainScaleS-2 e SpiNNaker, sostenuti da finanziamenti dell’Unione Europea, stanno dando i primi frutti e questa tecnologia ha già attirato l’interesse di colossi dell’informatica come IBM e Intel.

Robot che pensano come organismi

Tra le applicazioni più promettenti delle reti neurali artificiali, soprattutto quelle ispirate dalla biologia, troviamo quelle nel campo della robotica. La neurorobotica, disciplina all’intersezione tra neuroscienze, robotica e intelligenza artificiale, si occupa proprio di creare robot ispirati dal funzionamento del cervello. Attività banali per organismi biologici, come coordinare i movimenti o seguire il percorso di un oggetto in movimento, sono ancora oggi problematiche anche per i robot più avanzati. Per superare questi ostacoli, si sta cercando di rendere i robot il più simili possibile a sistemi nervosi biologici, tramite reti neurali neuromorfiche. Vengono così sviluppati algoritmi e modelli di locomozione, memoria, percezione sensoriale più “naturali”. Una volta incorporati nei robot, questi modelli simulano con più fedeltà i comportamenti biologici. Sono così in grado di compiere operazioni e apprendere dai propri errori con più efficienza.

Un modello basato sul funzionamento e la struttura dell’ippocampo, area del cervello coinvolta nella navigazione, ha permesso ad esempio a un team di ricercatori italiani del CNR di progettare un robot su ruote, in grado di guidare e scansare ostacoli. In maniera simile, un gruppo di ricercatori dell’Università di Granada in Spagna ha inserito una rete neurale ispirata a quella del cervelletto, implicato nel coordinamento dei movimenti, in un braccio meccanico, migliorandone l’agilità e l’interazione con altri oggetti. Shadow Hand, un robot sviluppato dall’azienda inglese Shadow Robot Company, sfrutta reti neurali per replicare i movimenti complessi di una mano umana e manipolare oggetti con precisione, un’operazione ancora difficilissima per molti robot.

Interfacciarsi con robot e computer

La frontiera più affascinante della neuroinformatica e neurorobotica è senza dubbio l’interfaccia umana-computer, o Brain Computer Interface (BCI). La possibilità di “allacciare” in maniera diretta il proprio cervello a un computer per comandare un robot, aumentare le proprie capacità cognitive o addirittura trasferire la propria mente sono sia temi della narrativa che obiettivi concreti per la ricerca. Fantascienza a parte, oggi le BCI esistono già e vengono usate a scopo terapeutico. Per esempio, si utilizzano nella stimolazione cerebrale profonda, nella riabilitazione motoria in seguito a ictus o paralisi, o persino nella riabilitazione psichiatrica. Siamo ancora lontanissimi da cervelli interamente artificiali ma, nel frattempo, le tecnologie ispirate dalle neuroscienze offrono già benefici per la salute dei cervelli reali, in uno scambio proficuo e interdisciplinare dei saperi, per la salute globale.


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Bibliografia
  • AAVV, (2023), Learning from the brain to make AI more energy-efficient & Developing robots with brain-derived skills, in HUMAN BRAIN PROJECT, A closer look at scientific advances, Human Brain Project, Task Force for Science Communication
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