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Educare alla parità di genere

–  “Cosa si prova a vivere accanto un genio?”

–  “Non lo so, lo chieda a mio marito”

Questo dialogo ha per protagonisti un giornalista e la scienziata Marie Sklodowska Curie, il giorno in cui le fu conferito il primo dei due premi Nobel che riceverà. Quel giorno il premio sarebbe dovuto andare solo al marito, ma Pierre Curie si disse pronto a rifiutare il premio se non poteva condividerlo con la moglie che aveva contribuito, anche più di lui, alla scoperta. La scienziata Marie Sklodowska Curie, quindi, con ironia ha risposto a un giornalista che dava per scontato che tra i due coniugi Curie, il genio fosse Pierre.

Verità o leggenda, la pungente risposta che la signora Curie ha dato al giornalista è entrata nella storia delle lotte per la parità di genere. Sono passati 121 anni dal primo premio Nobel conferito ad una donna eppure, ancora oggi, quando si parla di scienza, c’è una grande disparità di genere. Di tutti i premiati solo il 4% sono donne. Se prendiamo i dati nel nostro paese, soprattutto per quanto riguarda le materie Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), il divario di genere è ancora più amplificato.

Questa disparità ha origini dagli stereotipi e dalle aspettative delle famiglie che, come ricostruito in passato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (Ocse), sono molto diverse tra bambine e bambini.

Le aspettative familiari svolgono un ruolo critico fin dai primi anni di vita. I genitori tendono ad associare più frequentemente i campi scientifici e tecnologici ai figli maschi piuttosto che alle figlie. Anche quando le prestazioni accademiche sono simili. E le strutture educative tardano ad avere un ruolo correttivo nelle diseguaglianze di genere. Come ci spiega la ricercatrice di pedagogia sociale generale e sociale, dott.ssa Irene Biemmi:

“Quando inizia questo percorso che porta alla disparità? Comincia fin dalla primissima infanzia. Nel tessuto familiare, ma anche nelle strutture educative. Si inizia a tessere un percorso biografico diverso per maschi e femmine che ricalca quelli che, in letteratura, vengono chiamati binari di genere. Questi binari sono visualizzati da due colori che da diversi decenni sono diventati il simbolo del maschile e del femminile: l’azzurro e il rosa. Questi colori sono simboli delle aspettative che il mondo degli adulti ha nei confronti delle bambine e dei bambini. In questo modo, i bambini e le bambine iniziano a sviluppare dentro sé l’idea che il mondo degli esseri umani sia diviso in un mondo maschile e un mondo femminile.

Questa visione del mondo diviso in due viene rafforzata anche nei libri di testo. Ad esempio, per i maschi vengono utilizzati aggettivi come coraggiosi, sicuri, seri, orgogliosi, generosi, saggi, liberi, audaci, egoisti, avventurosi. Mentre le femmine sono pazienti, buone, dolci, invidiose, pettegole, silenziose, ipersensibili, premurose… Stessa cosa vale per le professioni. Dove i maschi sono scrittori, geologi, ingegneri, scienziati, poeti, dottori, esploratori. Mentre le femmine sono maestre, estetiste, parrucchiere, streghe, maghe, principesse, casalinghe. Venendo al dunque. Su questo si gioca l’immaginario che noi diamo in dotazione ai bambini e alle bambine che saranno gli uomini e le donne di domani.”

Queste aspettative internalizzate dalle ragazze spesso si traducono in una minore fiducia nelle proprie capacità in materie “da maschi” come matematica e scienze, con conseguenze negative sui rendimenti accademici in queste discipline.

Le ricerche, però, dimostrano che le ragazze che hanno maggiore fiducia nelle proprie capacità raggiungono risultati simili a quelli dei ragazzi nei test di matematica e scienze. Ciò suggerisce che la fiducia in sé stesse svolge un ruolo cruciale nel superare gli stereotipi di genere. E nel migliorare le prestazioni accademiche nelle discipline scientifiche.

L’Italia, a livello europeo, ha registrato uno dei divari di genere più ampi negli apprendimenti in materie Stem tra ragazze e ragazzi. Affrontare concretamente questo problema, dunque, resta un priorità. Ciò richiede un approccio multidimensionale e interdisciplinare che coinvolga il sistema educativo, le famiglie, le comunità e la società nel suo complesso.

“Educare alla parità di genere”, continua la dott.ssa Biemmi, “significa educare bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne del futuro a relazioni tra maschi e femmine che siano paritarie, egualitarie, inclusive ed assolutamente non violente”.

La Fondazione Patrizio Paoletti, con la nuova edizione del percorso formativo “Prefigurare il futuro- Diventare migliori amici di sé stessi” intende fare la sua parte nell’educazione alla parità di genere. Lo scopo è fornire alle giovani le competenze relazionali ed emotive da mettere in atto per aumentare la fiducia in sé stessi, passare dal conflitto al confronto, alla comprensione, alla cultura del rispetto dell’altro ed infine alla prefigurazione del proprio futuro, che può essere diverso dagli stereotipi di genere.

Le famiglie, in questa prefigurazione del futuro, hanno un ruolo fondamentale. Stimolando e spronando le ambizioni delle bambine che vogliono affacciarsi nel mondo delle materie scientifiche.

 

Bibliografia
  • Susan Quinn, Marie Cuire. Una vita. Bollati Boringhieri, 2013

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