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Dall’hate speech alla comunicazione non violenta

“Le parole sono nella mia modesta opinione la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo!”. Questa è la frase che il preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Albus Silente, dice al famoso maghetto Harry Potter. Osservando il fenomeno sempre più diffuso dell’hate speech, queste parole sono più che mai attuali e importanti da tenere bene a mente.

Secondo uno studio del 2020 per il Parlamento europeo e uno del 2021 per la Commissione europea, i discorsi e i crimini d’odio stanno aumentando sempre di più nell’Unione Europea. Questi problemi sono particolarmente diffusi sui social media, dove le persone, inclusi politici, esprimono liberamente i propri pensieri.

Il rapporto della Commissione cita vari esempi di discriminazione e offre alcune statistiche significative. Ad esempio, il 63% delle ragazze intervistate ha subito molestie online, mentre il 38% delle persone con disabilità ha subito discorsi d’odio nell’anno precedente, con il 17% di esse vittime di violenza fisica, rispetto all’8% delle persone senza disabilità. Questi fenomeni sono stati legati all’aumento della migrazione, alle crisi economiche e sociali, alla diffusione di teorie cospirative e disinformazione, e all’uso sempre più diffuso di Internet e dei social media. La pandemia di coronavirus ha anche contribuito a peggiorare la situazione, portando a un aumento dei discorsi e dei crimini d’odio a causa dell’insicurezza economica e sociale che ha generato.

Solo nei primi tre mesi del 2020, il gruppo Meta, grazie anche al miglioramento della tecnologia con l’intelligenza artificiale, è stato in grado di rimuovere 9,6 milioni di contenuti di odio e sta proseguendo su questa strada per ridurre sempre di più l’hate speech sulle sue piattaforme.

Per “hate speech“, secondo le Nazioni Unite, si intende: “qualsiasi tipo di comunicazione orale, scritta o comportamentale che attacchi o utilizzi un linguaggio peggiorativo o discriminatorio nei confronti di una persona o di un gruppo in base alla sua identità, ovvero in base alla sua religione, etnia, nazionalità, razza, colore, discendenza, sesso o altro fattore di identità”. E i discorsi d’odio partono proprio dalle parole. Una parola dopo l’altra, pronunciata distrattamente, detta di fretta, che si trasforma in odio da parte di chi le dice e di dolore da parte di chi le subisce.

L’hate speech, però, non si ferma solo ad infliggere dolore, ma può creare veri e propri danni. Sia individuali, che sociali.

Se prima l’hate speech nei confronti dei gruppi sociali di riferimento si diffondeva in maniera più lenta e poteva essere arginata, adesso, con l’avvento dei social network, è tutto più veloce. Il discorso d’odio viene replicato, ricondiviso velocemente senza valutare se effettivamente quello che si sta dicendo sia vero o meno. Se quello che si sta dicendo sia frutto di pregiudizi, stereotipi o meno.

I danni dell’hate speech da individuale diventano, così, un danno sociale che porta ad etichettare una etnia, una religione o una cultura come pericolosa e meritevole di essere odiata. La storia ci mostra tantissimi esempi.

Per arrivare dall’hate speech alla comunicazione non violenta, bisogna passare dall’empatia e dal rispetto della vita dell’altro come fosse la nostra. Dal rispetto della sensibilità dell’altro come fosse la nostra. Dal rispetto del dolore dell’altro come fosse il nostro.

Solo nell’ascolto dell’altro e nell’empatia con l’altro riusciamo a immaginare un futuro sostenibile e migliore per tutti quanti noi.

Questo miglioramento sociale potremo ottenerlo attraverso la comunicazione non violenta.

La comunicazione non violenta (CNV) è un approccio alla comunicazione che si concentra sull’espressione dei bisogni e dei sentimenti in modo rispettoso e empatico. È stato sviluppato da Marshall Rosenberg e si basa su quattro componenti principali: osservazione, sentimento, bisogno e richiesta.

Ad esempio, una conversazione che potrebbe iniziare con “Sei sempre in ritardo!”, scatenando nell’altra persona una sensazione di accusa, con la comunicazione non violenta potrebbe trasformarsi, osservando la situazione in modo obiettivo, senza giudizi o interpretazioni personali, in “Oggi sei arrivato 20 minuti dopo l’orario stabilito“.

Se poi all’osservazione della situazione così com’è, aggiungiamo il sentimento che abbiamo provato, il bisogno che si cela dietro quel sentimento e la nostra richiesta specifica per soddisfare quel bisogno la conversazione potrebbe articolarsi così:

Quando sei arrivato in ritardo, mi sono preoccupato. Ho bisogno di affidabilità e puntualità perché mi aiuta a organizzare meglio il mio tempo e a sentirmi rispettato. Puoi avvisarmi con un messaggio se prevedi di arrivare in ritardo?

Le parole, usate in questa modalità non aggressiva, possono esprimere al meglio la loro inesauribile fonte di magia, favorendo così la costruzione di relazioni più sane e soddisfacenti.

 

Bibliografia
  • European Commission, Directorate-General for Justice and Consumers, Ypma, P., Drevon, C., Fulcher, C. (2021). Study to support the preparation of the European Commission’s initiative to extend the list of EU crimes in Article 83 of the Treaty on the Functioning of the EU to hate speech and hate crime : final report, Publications Office of the European Union. https://data.europa.eu/doi/10.2838/04029
  • Rosenberg, M. B. (1999). Nonviolent Communication: A Language of Compassion. Del Mar, CA: PuddleDancer Press.
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