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Interprete

Cosa intendiamo in neuroscienze con la parola ‘Interprete’?

Nel vasto campo delle neuroscienze, poche scoperte hanno aperto nuove frontiere nella comprensione dei misteri della coscienza e della cognizione umana come gli studi sull’interazione tra gli emisferi cerebrali. Michael Gazzaniga, da tutti riconosciuto come uno dei pionieri nello studio del cervello diviso, o “split brain”, ha giocato un ruolo cruciale in questo ambito con l’introduzione del concetto dell'”Interprete” situato nell’emisfero sinistro. Tale concetto ha rivoluzionato non solo il modo in cui comprendiamo le funzioni cerebrali superiori, ma ha anche sollevato interrogativi profondi sul funzionamento interno della mente umana. Questa voce di glossario vuole esplorare in maniera accessibile ma rigorosa come Gazzaniga sia arrivato a formulare l’ipotesi dell’esistenza dell’Interprete, delineare le funzioni specifiche di questa entità cerebrale e discutere le implicazioni di questa scoperta per la nostra visione della mente umana. Inoltre, verranno esaminate le ripercussioni di questa teoria nel contesto psicologico e pedagogico, illustrando come la ricerca di Gazzaniga abbia fornito nuove lenti attraverso cui osservare il comportamento umano e i processi di apprendimento.

 

Come fu scoperto l’Interprete e attraverso quali esperimenti?

Negli anni ’60, nel fervore di scoperte e progressi nelle neuroscienze, Michael Gazzaniga, allora giovane ricercatore, operava sotto la guida dell’eminente neurobiologo Roger Sperry presso il California Institute of Technology. Fu in questo contesto che Gazzaniga iniziò a esplorare le profondità del cervello umano attraverso lo studio di pazienti che avevano subìto una commissurotomia, un intervento chirurgico radicale che separava i due emisferi cerebrali. Tale procedura era praticata per mitigare gli effetti debilitanti di gravi forme di epilessia che non rispondevano ai trattamenti farmacologici convenzionali. L’obiettivo principale di questi studi pionieristici era di svelare il ruolo e le funzioni specifiche di ciascun emisfero cerebrale, contribuendo a una comprensione più fine della specializzazione emisferica.

Gazzaniga e i suoi colleghi svilupparono una serie di esperimenti innovativi che isolavano funzionalmente gli emisferi cerebrali dei loro soggetti. Uno degli esperimenti più illuminanti e citati nella letteratura scientifica coinvolgeva l’uso di uno speciale visore che permetteva la proiezione di due immagini diverse, una per ciascun campo visivo corrispondente all’emisfero opposto del cervello. In queste condizioni, i pazienti “split-brain” mostravano risultati sorprendenti e a volte sconcertanti: erano capaci di descrivere verbalmente solo le immagini proiettate all’emisfero sinistro, noto per gestire funzioni legate al linguaggio e alla parola. Questo emisfero, infatti, elaborava le informazioni visive e le traduceva in descrizioni coerenti. D’altra parte, l’emisfero destro, che non ha capacità verbali dirette ma gestisce la percezione visuo-spaziale e l’elaborazione non verbale, dimostrava di comprendere la propria immagine attraverso reazioni e risposte comportamentali non verbali. Ad esempio, se all’emisfero destro veniva mostrata un’immagine di un oggetto comune, il paziente poteva non essere in grado di nominarlo, ma poteva selezionarlo correttamente tra una serie di oggetti presentati fisicamente.

 

Questi risultati non solo evidenziavano una divisione funzionale tra gli emisferi, ma anche sollevavano questioni intriganti su come le diverse parti del cervello interagiscono per creare una percezione unitaria della realtà, malgrado la loro separazione anatomica e funzionale. Il lavoro di Gazzaniga e la sua interpretazione di questi fenomeni attraverso l’ipotesi dell’Interprete avrebbero portato a una revisione sostanziale del nostro modo di pensare la struttura e il funzionamento della coscienza.

 

Quali sono le funzioni e le caratteristiche dell’Interprete?

L’Interprete, come definito da Michael Gazzaniga, rappresenta un meccanismo situato nell’emisfero sinistro del cervello: questa struttura non solo elabora il linguaggio e le funzioni logiche, ma assume anche un ruolo cruciale nella costruzione di una narrativa interna che cerca di fornire coerenza e significato alle molteplici informazioni, spesso frammentarie e disconnesse, che il cervello riceve e deve elaborare. L’Interprete si comporta quindi come un narratore interno, che tessendo insieme i fili della nostra esperienza sensoriale e cognitiva, crea una storia continua che aiuta l’individuo a comprendere e a razionalizzare le proprie azioni e reazioni all’interno del mondo circostante.

Questo sofisticato sistema di interpretazione è essenzialmente impegnato nella sintesi di un racconto coerente che integra le esperienze passate e presenti, le intuizioni non verbali e i flussi di informazioni incoerenti in un unico flusso comprensibile di coscienza. Questa funzione si rivela particolarmente evidente in situazioni dove l’interazione tra gli emisferi è limitata o assente, come nei pazienti con il cervello diviso.

Per esempio, se l’emisfero destro, che non ha accesso diretto alle capacità linguistiche, percepisce un umorismo o un’emozione che non può esprimere verbalmente, l’emisfero sinistro, ospitante l’Interprete, può generare una spiegazione plausibile per una risata apparentemente immotivata. Questo avviene anche se l’emisfero sinistro non ha una conoscenza diretta del motivo originale che ha scatenato la risata. In pratica, l’Interprete cerca di riempire i vuoti, fornendo una giustificazione logica a comportamenti che altrimenti sarebbero inspiegabili.

Questa capacità di fornire spiegazioni coerenti anche in assenza di informazioni complete sottolinea una delle funzioni più affascinanti e potenzialmente ingannevoli del cervello umano: la creazione di una realtà soggettiva che può essere completamente slegata dai fatti oggettivi. In tal senso, l’Interprete non solo aiuta a mantenere una sensazione di continuità e identità personale, ma solleva anche importanti questioni sulla veridicità e l’affidabilità della nostra percezione e interpretazione del mondo esterno. La scoperta e l’analisi dell’Interprete da parte di Gazzaniga hanno quindi aperto nuovi orizzonti nella comprensione di come il cervello umano organizza, interpreta e dà significato alla realtà che ci circonda, mostrando come la mente umana sia un intricato tessuto di meccanismi che non solo percepiscono la realtà, ma la modellano attivamente.

 

Che conseguenze ha avuto questa scoperta?

La teoria dell’Interprete ha rappresentato una svolta epocale nel modo in cui la scienza comprende la coscienza umana. Questa teoria suggerisce che molte delle nostre percezioni di noi stessi e del mondo che ci circonda sono il risultato di un meccanismo cerebrale nell’emisfero sinistro che lavora incessantemente per creare ordine e coerenza da informazioni spesso disordinate e contraddittorie. Questo processo interno di narrazione aiuta a formare ciò che percepiamo come nostra autocoscienza e identità, portando alla luce la possibilità che queste narrazioni possano non essere sempre fedeli alla realtà, ma piuttosto costruzioni che servono a mantenere un senso di coerenza interna.

Implicazioni scientifiche e filosofiche

La comprensione che la narrazione di sé può essere una costruzione piuttosto che un riflesso accurato della realtà ha profonde implicazioni. Solleva questioni fondamentali sulla natura della verità e della realtà come le percepiamo. Se i nostri racconti interni sono in parte fabbricazioni, fino a che punto possiamo fidarci delle nostre percezioni e dei nostri ricordi? Questa prospettiva sfida il concetto filosofico di un “sé” autonomo e stabile, suggerendo invece che la nostra identità sia dinamica e plasmata continuamente dai processi interpretativi del nostro cervello.

Impatto psicologico

Nel campo della psicologia, questa teoria ha stimolato una riconsiderazione dell’idea di un sé unificato. Gli psicologi e i terapeuti sono stati incoraggiati a esplorare nuove modalità di trattamento che riconoscono la fluidità dell’identità personale e il ruolo della narrazione interna nella formazione del sé. Questo ha influenzato l’approccio nei confronti di disturbi psicologici come la dissociazione, il disturbo borderline di personalità e i disturbi dell’umore, suggerendo che interventi terapeutici potrebbero necessitare di strategie orientate non solo a cambiare comportamenti, ma anche a ristrutturare le narrative interiori dei pazienti.

Implicazioni pedagogiche

In ambito educativo, la teoria dell’Interprete ha aperto la strada a metodi di insegnamento che tengono conto delle differenze individuali nell’elaborazione delle informazioni tra gli emisferi cerebrali. Questo ha portato allo sviluppo di strategie didattiche più inclusive che si adattano ai diversi stili di apprendimento degli studenti. Nell’educazione speciale, in particolare, questa comprensione ha rafforzato l’importanza di personalizzare gli approcci educativi per rispondere alle esigenze specifiche di ogni studente, riconoscendo che le variazioni nelle capacità narrative e interpretative possono influenzare significativamente come gli studenti percepiscono e assimilano le informazioni.

 

L’interprete può essere educato

Nella Pedagogia per il Terzo Millennio (PTM) l’interprete viene interpretato come “un meccanismo presente in ogni uomo, il cui funzionamento automatico si fonda sul principio di economia. L’Interprete elabora rappresentazioni interne a partire da contesti incontrati e queste rappresentazioni vanno a stoccarsi come una serie di moduli, i quali possono essere riutilizzati successivamente, al ripresentarsi della stessa situazione.” (Paoletti, Selvaggio 2011). Questo meccanismo, utilissimo nella vita quotidiana per velocizzare la nostra capacità di rispondere alle sollecitazioni esterne, nasconde un pericolo: “Ciò che avviene, però, in una mente non sufficientemente disciplinata, è che l’Interprete ripropone la medesima lettura per tutti i contesti semplicemente affini, rappresentando un filtro troppo stretto, cosicché quel che ci raggiunge non può costituire per noi un nutrimento. In questo caso, l’Interprete produce una continua distorsione dei dati, a favore della lettura pregressa che si è cristallizzata come unica, nonostante il rinnovarsi nel tempo delle sollecitazioni. Ciò che determina la misura del filtro è la quantità di esperienze pregresse non capite, o, definendo con maggior precisione, non adeguatamente collocate.” (Ibidem, pp. 35-36). Una maggiore accuratezza dell’informazione ottenuta – attraverso un corretto  processo di Osservazione – è in grado di ‘nutrire’ l’Interprete, facendo sì che ogni esperienza possa trasformarsi in una condizione di nuovo apprendimento: “Per questo motivo è indispensabile rispondere costantemente alle domande che la vita ci pone, cercando di sciogliere i nodi che inevitabilmente vengono a formarsi, perché soltanto lo sciogliere i nodi restituisce capacità, ci rende intelligenti, capaci di trascegliere.” (Ibidem p. 36).

 

Bibliografia
  •  Gazzaniga, MS (2007) L’interprete. Come il cervello decodifica il mondo. Di Renzo Editore.
  • Gazzaniga, MS (2009). Umano: quel che ci rende unici. Raffaello Cortina Editore.
  • Gazzaniga, MS (2020). La coscienza è un istinto: il legame misterioso tra il cervello e la mente. Raffaello Cortina Editore.
  • Gazzaniga, MS, Ferraresi, S., & Garbarini, F. (2006). La mente etica. Torino: Codice.
  • Gazzaniga, MS, & Inglese, S. (2013). Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio. Torino: Codice.
  • Paoletti, P., Selvaggio, A. (2011). Osservazione. Quaderni di Pedagogia per il Terzo Millennio, Perugia: Edizioni 3P
  • Roser, M. E., & Gazzaniga, M. S. (2006). The interpreter in human psychology. The evolution of primate nervous systems. Oxford: Elsevier.

 

 

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