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Neurosessismo

Cosa intendiamo con il termine neurosessimo? Da chi è stato coniato?

Il termine “neurosessismo” si riferisce a una forma di pregiudizio o discriminazione basata sull’applicazione errata o fuorviante delle neuroscienze per sostenere idee stereotipate sui generi. Questa pratica si manifesta attraverso l’interpretazione e la presentazione di dati o studi neuroscientifici in modi che rafforzano gli stereotipi di genere, suggerendo che esistano differenze innate e immutabili tra uomini e donne a livello cerebrale, che giustificherebbero le disparità di genere nella società. Il concetto di neurosessismo è emerso come critica verso alcune tendenze nella divulgazione scientifica e nella ricerca neuroscientifica, dove risultati spesso preliminari o contestati vengono presentati come prove definitive delle differenze di genere a livello cerebrale. Queste affermazioni sono poi utilizzate per giustificare stereotipi di genere o disparità sociali, educative e lavorative.

Non c’è un singolo momento o autore a cui si possa attribuire con precisione la coniazione del termine “neurosessismo”. Tuttavia, il concetto ha guadagnato attenzione e diffusione grazie al lavoro di accademici e commentatori che hanno criticato l’uso improprio delle neuroscienze per perpetuare stereotipi di genere. Un esempio notevole di tale critica è il libro “Delusions of Gender” (Le illusioni del genere) della neuropsicologa Cordelia Fine, che ha svolto un ruolo significativo nel portare alla luce le problematiche associate al neurosessismo, smontando numerosi miti e interpretazioni errate riguardanti le differenze di genere nel cervello.

Il dibattito sul neurosessismo è importante perché le concezioni errate sulle differenze di genere a livello cerebrale hanno spesso ripercussioni significative in vari ambiti, dalla formazione educativa alle opportunità di carriera, influenzando le aspettative e le possibilità offerte a individui in base al genere. Combattere il neurosessismo è fondamentale per favorire una comprensione del genere e del cervello più equa e scientificamente accurata.

 

Il neurosessismo come neuromito: un pensiero pseudoscientifico può infiltrare la scienza?

Il concetto di neuromito si riferisce a una credenza errata o una generalizzazione eccessiva sui meccanismi del cervello e le sue funzioni. Il neurosessismo si inserisce in questa categoria in quanto spesso si basa su interpretazioni errate o semplificate delle ricerche neuroscientifiche per sostenere idee preconcette e stereotipate sui generi. Ma come un pensiero pseudoscientifico si può infiltrare nella scienza, influenzando le percezioni e le politiche sociali? Storicamente, la scienza non è stata immune dall’influenza di pregiudizi e ideologie. Nel corso dei secoli molte teorie scientifiche sono state plasmate e talvolta distorte da preconcetti culturali e sociali. Un esempio eclatante è la frenologia – una disciplina del XIX secolo che pretendeva di dedurre le caratteristiche della personalità e le tendenze comportamentali dalla forma del cranio – che oggi è universalmente riconosciuta come pseudoscienza. Nel contesto del neurosessismo, la pseudoscienza si manifesta quando le conclusioni degli studi vengono distorte o estrapolate oltre il loro significato legittimo. Questo può avvenire per vari motivi, tra cui il desiderio di ottenere risultati sensazionalistici per attrarre l’attenzione dei media, la mancanza di comprensione delle complessità e delle limitazioni degli studi sul cervello, o l’intenzione deliberata di sostenere una posizione ideologica. Risulta quindi fondamentale che la comunità scientifica mantenga un rigoroso standard di revisione critica e che il pubblico sia educato a comprendere e valutare le informazioni scientifiche, distinguendo tra ciò che è un’interpretazione legittima dei dati e ciò che è una distorsione pseudoscientifica.

 

Quali sono le attuali critiche al neurosessismo?

Le critiche al neurosessismo si concentrano sulla sua validità scientifica, il suo impatto sulla società e le sue implicazioni etiche. Gli studiosi mettono in evidenza diversi punti problematici:

-Validità scientifica discutibile. Le critiche si concentrano sulla metodologia di alcune ricerche neuroscientifiche, sottolineando come gli studi spesso non tengano conto della variabilità individuale o non distinguano tra influenze biologiche e ambientali. Viene messa in discussione l’interpretazione di dati che possono essere influenzati da fattori socioculturali, che spesso vengono trascurati.

-Generalizzazioni eccessive. Gli oppositori del neurosessismo evidenziano come da piccole differenze osservate in studi neuroscientifici si tenda a fare generalizzazioni ampie e ingiustificate sul comportamento e le capacità di interi gruppi di genere.

-Impatto sulla società. Le critiche si estendono agli effetti del neurosessismo nella società, in particolare riguardo alle aspettative di genere e alle opportunità accessibili alle persone. Si sostiene che il neurosessismo possa limitare le scelte individuali e rinforzare gli stereotipi di genere, influenzando l’istruzione, la carriera e la percezione di sé.

-Rischi educativi. Nel settore educativo, il neurosessismo può portare all’implementazione di strategie didattiche basate su stereotipi di genere piuttosto che su prove concrete, influenzando negativamente l’approccio all’apprendimento e al sostegno degli studenti.

-Implicazioni etiche. La promozione di idee neurosessiste solleva questioni etiche riguardo alla responsabilità della comunità scientifica nel garantire che la ricerca sia condotta e comunicata in modo etico, evitando di alimentare pregiudizi o discriminazioni.

 

Perché la plasticità cerebrale aiuta a scardinare le ipotesi neurosessiste?

La plasticità cerebrale, cioè la capacità del cervello di cambiare e adattarsi in risposta a esperienze e apprendimenti, è un concetto fondamentale che contraddice le ipotesi neurosessiste di differenze cerebrali fisse tra i generi. Questa capacità dimostra che il cervello è un organo dinamico, le cui strutture e funzioni possono essere modellate da un’ampia gamma di esperienze, ambienti e comportamenti nel corso della vita.

Il concetto di plasticità cerebrale sfida l’idea che le differenze di genere nel cervello siano innate e immutabili e suggerisce invece che tali differenze possano essere influenzate e modificate da fattori esterni. In questo contesto, attribuire capacità o tendenze fisse basate sul sesso diventa insostenibile, poiché la plasticità implica che le competenze e le caratteristiche cognitive evolvono indipendentemente dal genere.

La plasticità cerebrale fornisce quindi un potente argomento contro le basi del neurosessismo, rafforzando l’idea che le disparità osservate in ambiti come l’educazione e la professione non sono il risultato di limitazioni biologiche legate al genere, ma sono influenzate e modificate da interventi educativi, culturali e sociali.

 

Che cos’è il neurofemminismo e che ruolo sta avendo nella ricerca?

Il neurofemminismo è un approccio interdisciplinare che unisce le neuroscienze al femminismo per esaminare e sfidare idee preconcette e pregiudizi di genere presenti nella ricerca e nell’interpretazione dei dati neuroscientifici. Questo movimento mira a promuovere una comprensione più equa e precisa delle differenze di genere nel cervello, in opposizione alle interpretazioni riduttive o distorte che rinforzano stereotipi e disuguaglianze. Nel contesto della ricerca, il neurofemminismo svolge un ruolo cruciale nel sollecitare una maggiore attenzione alla qualità metodologica degli studi neuroscientifici relativi al genere: a questo fine promuove pratiche di ricerca che tengano debitamente conto di variabili come il genere e l’ambiente. Si tratta di un approccio che incoraggia gli scienziati a esaminare criticamente come i pregiudizi di genere possano influenzare la conduzione degli studi e l’interpretazione dei risultati.

Attraverso questa lente critica, il neurofemminismo contribuisce a delineare un campo di ricerca più inclusivo e rappresentativo che migliora la qualità della scienza neuroscientifica e si sforza di avere un impatto positivo sulla società, promuovendo l’uguaglianza di genere e combattendo le narrazioni pseudoscientifiche che sostengono la discriminazione.

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Come possiamo far luce sull’ombra del neurosessimo?

A questo fine è essenziale adottare un approccio multiprospettico che coinvolga diversi settori della società, dalla comunità scientifica all’educazione, dai media al grande pubblico. Ecco alcune strategie chiave:

Educazione e sensibilizzazione: è fondamentale educare il pubblico e i professionisti su cosa sia il neurosessismo e come esso possa influenzare la percezione e l’interpretazione delle differenze di genere nel cervello. Programmi educativi e campagne di sensibilizzazione possono aiutare a smontare miti e giudizi erronei.

Ricerca rigorosa: gli scienziati devono adottare standard elevati di rigore metodologico, esaminando criticamente come il genere possa influenzare o essere influenzato dalla ricerca neuroscientifica. È importante promuovere studi che tengano conto delle differenze individuali e che non si limitino a generalizzazioni basate sul genere.

Revisione critica dei media: i media giocano un ruolo cruciale nel modellare le opinioni pubbliche. È necessaria una revisione critica del modo in cui i risultati della ricerca vengono comunicati, evitando di diffondere interpretazioni semplificate o sensazionalistiche.

Promozione del neurofemminismo: sostenere e promuovere l’approccio neurofemminista nella ricerca può aiutare a garantire che le questioni di genere siano esplorate in modo equo e privo di pregiudizi, con un’interpretazione più accurata e inclusiva dei dati.

-Dialogo interdisciplinare: favorire il dialogo tra neuroscienziati, psicologi, sociologi, filosofi e femministi arricchisce la comprensione delle questioni di genere nel cervello, contribuendo a una visione più olistica e sfumata.

Autocritica e formazione continua: per gli scienziati e i professionisti è vitale rimanere aperti all’autocritica e al continuo aggiornamento, riconoscendo e correggendo eventuali bias di genere nella propria ricerca o pratica.


 

Bibliografia
  • Bluhm, R. (2012). Beyond neurosexism: Is it possible to defend the female brain? In Neurofeminism: Issues at the intersection of feminist theory and cognitive science (pp. 230-245). London: Palgrave Macmillan UK.
  • Bluhm, R. (2020). Neurosexism and our understanding of sex differences in the brain. The Routledge Handbook of Feminist Philosophy of Science, 316-327.
  • Fine, C. (2013). Is there neurosexism in functional neuroimaging investigations of sex differences?. Neuroethics, 6(2), 369-409.
  • Halberg, C. (2023). Neurosexism, Neurofeminism, and Neurocentrism: From Gendered Brains to Embodied Minds. NORA-Nordic Journal of Feminist and Gender Research, 31(3), 279-291.
  • Hoffman, G. A., & Bluhm, R. (2016). Neurosexism and neurofeminism. Philosophy Compass, 11(11), 716-729.
  • Rippon, G. (2019). The Gendered Brain: The new neuroscience that shatters the myth of the female brain. Random House.
  • Schmitz, S., & Höppner, G. (2014). Neurofeminism and feminist neurosciences: a critical review of contemporary brain research. Frontiers in human neuroscience, 8, 546.

 


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