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L’autostima germoglia anche nel fallimento

Tutti cadiamo per imparare a camminare

Successi e fallimenti influiscono naturalmente sull’autostima e percezione di noi stessi. Studi scientifici, tuttavia, dimostrano che ciò che conta di più è il nostro atteggiamento di fronte ad essi. Nel fallimento, in particolare, è importante che la tristezza del momento non si traduca in infelicità. Perché fallire è parte necessaria dell’esplorazione delle possibilità e dell’apprendimento, a tutte le età. Fallire è crescere, evolvere, migliorarsi.

Fallimento e autostima

Uno studio pubblicato sul Journal of personality and social psychology del 1995 metteva già in luce la complessità emotiva del fallimento. In particolare, emergeva che le persone con bassa autostima tendono a generalizzare eccessivamente le implicazioni negative del fallimento. La tristezza e l’umiliazione del fallimento, in presenza di bassa autostima, si traducono troppo velocemente in infelicità e giudizio negativo di sé. Un ulteriore studio del 2002 ha riscontrato che persone con bassa autostima sperimentano un calo maggiore del senso di autoefficacia, dopo un fallimento. Con una bassa autostima, quindi, tendiamo a mettere troppo in discussione le nostre capacità.

Infallibilità e social media

Se il fallimento mette a rischio il benessere psicologico, in presenza di un’autostima bassa, il pericolo aumenta davanti agli specchi distorti dei social media. Questi ci propongono spesso modelli irraggiungibili, sempre vincenti, aumentando la nostra paura dell’imperfezione, del confronto e del fallimento, mettendo a ulteriore rischio l’autostima. L’impatto dei social media sull’autostima è particolarmente problematico nell’adolescenza, in cui l’identità è in definizione e la sicurezza in se stessi ancora fragile. Alcuni segnali di un sano abbandono del mito dell’invincibilità stanno lentamente emergendo anche sui media e all’opinione pubblica. Qualche cantante o atleta si ritira dal palco, per prendersi cura della propria salute mentale. Facendolo senza vergogna e pubblicamente, contribuisce col suo esempio prezioso a combattere lo stigma del disagio psicologico.

Fallimento e apprendimento: la “stretch zone”

Apprendere significa necessariamente aprirsi alla possibilità del fallimento e uscire dalla zona di comfort. Lì è tutto familiare e noto, quasi indiscusso: ci si sente completamente a proprio agio, senza sfide in grado di avviare un processo di apprendimento. D’altra parte, apprendere non è neanche fare un tuffo spericolato nella panic zone. Qui la sfida è talmente lontana dalle nostre attuali risorse, che sperimentiamo uno stress e paura tali da impedire qualsiasi apprendimento. Nella panic zone tutta la nostra energia è impegnata a gestire la paura, col rischio di finire per rifugiarsi nella comfort zone, rinunciando all’esplorazione.

Per imparare davvero e bene, è importante muoversi nella stretch zone, la “zona di allungamento”, che è a metà strada fra le precedenti. Qui le cose possono apparirci in qualche modo sconosciute e imbarazzanti. Tuttavia, è proprio la dimensione dove si possono valorizzare  possibilità e risorse ancora non completamente espresse. Qui è possibile lo sviluppo personale, l’esplorazione dei propri confini, la sperimentazione e l’alternanza naturale e positiva di successi e fallimenti. Col tempo e la pratica, la stretch zone regala terreno alla comfort zone, che si espande, mentre acquisiamo familiarità e nuove competenze. E la nostra autostima e autoefficacia si consolidano positivamente.

Il fallimento del bambino

Bambina piangeL’etimologia della parola “fallimento” è la stessa dell’inglese to fall, “cadere”. Maestro della caduta è il bambino, quando impara a camminare. Gattonando, barcollando, cadendo e rialzandosi, piangendo e ridendo, sperimenta l’equilibrio e vince l’impresa della posizione eretta. Dai bambini possiamo imparare a cadere, mantenendo morbide ed elastiche le nostre “ossa emotive” della flessibilità e resilienza. Tuttavia, anche il bambino può sperimentare un’ondata di frustrazione, nel non riuscire a fare qualcosa.

Nell’infanzia la frustrazione si attiva facilmente, perché i bambini tendono a vivere ogni desiderio come un bisogno, da soddisfare nell’immediato. La frustrazione del fallimento può manifestarsi con la rabbia, a volte trasferita agli oggetti. Il bambino può gettare a terra la matita, con la quale non riesce a fare un disegno. La sconfitta appare intollerabile sul momento, facilitando la tentazione a gettare la spugna, insieme alla matita. Coi suoi gesti, il bambino dichiara di pensare di non saper fare quella cosa e, di conseguenza, di non volerla più fare.

Per comprendere il bambino, è essenziale riconoscere che si tratta di emozioni e atteggiamenti che possiamo sperimentare anche noi adulti. Per proteggerci dal fallimento, a volte, sentiamo la tentazione di rinunciare al sogno. Di fronte alla matita a terra, la buona via non è un severo rimprovero. Piuttosto, l’adulto è chiamato a essere presente, accogliente, a mettersi in ascolto, decodificare il gesto del bambino, capirne il significato e il bisogno sotteso. La matita a terra può essere allora recuperata, nella mano del bambino e dell’adulto, disegnando insieme nella stretch zone. Lì si impara la dimensione del buon tempo che fa maturare i frutti e le abilità. Si asciugano le lacrime della frustrazione e si costruisce fiducia e autostima, scoprendo o sperando che “sì, posso ancora farlo”.

Autostima, limiti e libertà

È necessario sdoganare il potere del fallimento, a tutte le età, ricordandoci l’importanza e il diritto di perdere, essere sconfitti, non farcela. Il fallimento non è fatto per indugiare nella frustrazione. Piuttosto, offre un’opportunità preziosa di aumentare la nostra consapevolezza e abilità. Il fallimento ci mostra con chiarezza i nostri attuali limiti e confini. Tuttavia, il fallimento pensato ci offre spunti su come superarli, se utile e necessario. Allo stesso tempo, il fallimento può mettere in luce anche quei confini che è bene, giusto o sano non varcare. La libertà, infatti, non è poter fare ogni cosa, senza limiti, pensandosi completamente indipendenti. Il filosofo francese Gustave Thibon ricordava che la libertà presuppone accettare la dipendenza e l’interdipendenza, poiché siamo naturalmente connessi agli altri esseri viventi e al Pianeta. Asseriva che: “Il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore”.

La libertà è imparare ad amare e valorizzare la natura, compresi quei limiti che sono protettivi della vita, dell’equilibrio e della sostenibilità. Sono i confini che preservano la salute globale, del corpo, della psiche, della società e del Pianeta. Quando il fallimento tocca uno di quei limiti può essere addirittura sacro e salvifico. A volte, per esempio, succede di fallire per stanchezza o per un estremo multitasking. In questo caso, il fallimento ci ricorda di onorare i naturali limiti di corpo e psiche: i sani confini dei nostri naturali bisogni, in termini di alimentazione, riposo, ma anche sociali.

 



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Il fallimento pensato e compreso: il ruolo dell’intelligenza emotiva

KintsugiUn fallimento non pensato e compreso non permette l’apprendimento. Potrebbe portarci a cercare di aprire la porta sempre con la stessa chiave sbagliata. Nella frustrazione dei giri a vuoto, l’autocritica, il senso di colpa e inefficacia possono minare la nostra autostima. Restando aperti e in ascolto di emozioni e pensieri, possiamo invece “svegliarci col fallimento”, riscoprendo errori, limiti e migliorando la nostra consapevolezza. Per imparare a gestire frustrazione e fallimenti, è quindi fondamentale sviluppare l’intelligenza emotiva e la capacità di ascoltarsi e decodificare le emozioni.

Il fallimento è un messaggio che necessita di essere pensato, metabolizzato e compreso. Questo implica un tempo per la riflessione e per prenderci cura di noi stessi e delle nostre ferite emotive. Divenire coscienti di aver maturato abilità e consapevolezza, anche attraverso il fallimento, ci permetterà di stimarci molto di più. Così, anche il fallimento, l’errore, la rottura e il dolore avranno avuto il loro senso, una direzione evolutiva. E, forse, potremmo addirittura scorgerne la bellezza e la poesia, come una ciotola rotta e riparata con l’oro della tecnica giapponese del kintsugi.

Costruire autostima, anche fallendo

Bambina resilienteSiamo chiamati ad accogliere il fallimento come parte integrante dell’esperienza umana. Accettarsi fallibili rende le imprese fattibili, perché solo accettando il fallimento potremo riprovare ancora, in modo o luogo diverso, fino al successo. Non è detto che questo sarà esattamente come o dove lo avevamo pensato, ma sarà comunque un successo, ossia un’evoluzione. Possiamo dire che il fallimento è quello spazio e tempo che permette all’evoluzione di maturare e all’innovazione di nascere. Per imparare a fare del fallimento un alleato di felicità, possiamo innanzitutto rafforzare la nostra autostima di base, per affrontare al meglio sfide e ostacoli. Fondazione Patrizio Paoletti mette a disposizione un Edukit gratuito per un allenamento quotidiano dell’autostima. Coltivarla significa riscoprire il nostro valore come persone, oltre le capacità nei singoli compiti e la naturale alternanza di successi e fallimenti. Possiamo inoltre ricordarci che:

  1. Andare incontro alla possibilità del fallimento significa affrontare la paura di cadere. Scoprirci coraggiosi nel semplice tentare rafforza la nostra autostima.
  2. Onorare i nostri limiti amorevolmente, sperimentando il fallimento, ci insegna a valorizzare la nostra vulnerabilità, praticando la self-compassion. Abbracciare la nostra vulnerabilità non ci rende più deboli, ma più forti e resilienti, aumentando la nostra autostima.
  3. Il fallimento ci permette di acquisire nuove competenze, attraverso prove ed errori, allenando le nostre capacità. Il fallimento è una palestra, una scuola, un incubatore dell’innovazione, un laboratorio che può renderci migliori.
  4. Le grandi idee rivoluzionarie spesso partono da un problema da risolvere. La soluzione giunge uscendo dalla comfort zone e, frequentemente, dopo una serie di fallimenti. Nel cuore della sfida, siamo chiamati a coltivare speranza e curiosità: dietro l’angolo del fallimento potrebbe esserci un successo che non possiamo neanche immaginare. Darci fiducia e credere che possiamo trovare una soluzione, anche dentro e durante il fallimento, significa scommettere su di noi e alimentare la nostra autostima.
  5. Condividere storie di fallimenti costruttivi, da raccontare e ascoltare, fa crescere e accompagna al successo. La condivisione è educazione, risorsa e forza comune. Ci incoraggia a rialzarci e tentare ancora o in modo nuovo. Inoltre, riduce lo stigma e la vergogna del fallimento, normalizzandolo come una semplice ed essenziale fase di crescita, evoluzione e vita. Condividerlo, magari col sorriso, ci riporta a quella dimensione di leggerezza, non superficiale ma profonda e vera, che favorisce l’esplorazione, di grandi e piccini.

Quando il fallimento è fertile può germogliare l’autostima, come il fiore di loto nasce dal fango e dal limo. Se lo guardiamo bene, il fallimento è uno strumento per il prossimo successo. Ci aiuta a puntare più in alto con l’arco dei sogni, a sognare più forte, a sognare meglio e a ricordarci di riposare per sognare ancora.

 


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Bibliografia
  • Brown, J. D., & Dutton, K. A. (1995). The thrill of victory, the complexity of defeat: self-esteem and people’s emotional reactions to success and failure. Journal of personality and social psychology68(4), 712.
  • Lane, A. M., Jones, L., & Stevens, M. J. (2002). Coping with failure: the effects of self-esteem and coping on changes in self-efficacy. Journal of Sport Behavior25(4).
  • Ryan, A., & Markova, D. (2006). The Comfort, Stretch, Panic Model: Safeguarding Young People in Care.
  • Thibon, G. (1972). Ritorno al reale: nuove diagnosi. Volpe.
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