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Climate change, salviamo il mediterraneo

MER, il megaprogetto italiano per guarire il ‘mare nostrum’

“Non si può proteggere ciò che non si conosce” (ISPRA): la Fondazione Patrizio Paoletti presenta il più grande progetto italiano per la salvaguardia del Mediterraneo, il ‘Mare nostrum’.

RestauroQuando ci poniamo la domanda: come facciamo a salvare il Pianeta? Sembra una sfida più grande di noi. Una sfida impossibile, come quella tra Sisifo e la montagna. Il mitologico re, per aver ripetutamente ingannato il grande Zeus, viene rinchiuso nell’Ade e condannato a un’eterna fatica: trasportare sopra una montagna un masso che inesorabilmente ricade giù, appena toccata la cima. È il simbolo di qualsiasi impresa inutile, destinata a vanificarsi non appena compiuta. Così noi ci sentiamo destinati a fallire inesorabilmente e quindi, alla fine, se non c’è modo di invertire il meccanismo, tanto vale non fare niente. Ma non è così.

Nel libro ‘Le dieci cose che ho imparato’, Piero Angela, il più grande divulgatore scientifico che l’Italia abbia mai avuto, spiega che noi stiamo maltrattando “l’atmosfera e i mari, che sono i nostri due preziosissimi motori del clima. Sono beni fragili e sensibili e vanno difesi e tutelati”. È ormai sotto gli occhi di tutti – ammonisce Angela – che “con l’inquinamento, con un pesca eccessiva e, soprattutto, manomettendo il meccanismo delle correnti che contribuiscono a regolare il clima”, stiamo rovinando quell’ecosistema perfetto che sono gli oceani. E a proposito della plastica, la maledetta plastica, aggiunge: “Qui non c’entrano niente i grandi sistemi naturali e la loro fragilità: qui è solo questione di maleducazione”.

Educare e auto-educarsi è, dunque, la chiave per aprire la porta della sostenibilità consapevole. Insegnare alle nuove generazioni la conoscenza del Pianeta con le sue meraviglie, partendo dall’Italia, dove viviamo, è fondamentale per invertire il climate change e i suoi terribili guasti. È con questo spirito che abbiamo intervistato il dottor Giordano Giorgi, ricercatore di ISPRA (Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale), coordinatore del progetto PNRR MER (Marine Ecosystem Restoration), il più grande progetto italiano sul mare nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Giorgi
Giordano Giorgi, ricercatore di ISPRA

Che cosa sta facendo l’Italia per il nostro mare, il Mediterraneo?

Finora il degrado del nostro ecosistema marino lo abbiamo osservato, ma non siamo mai riusciti a invertirlo. Con il progetto MER (Marine Ecosystem Restoration), il nostro Paese sta svolgendo un ruolo d’avanguardia, stiamo attuando interventi di ripristino su una scala spaziale e temporale che non è mai stata tentata prima. Andiamo a reintrodurre nel mar Adriatico l’ostrica nostrana, detta ‘piatta’, che era data quasi per estinta. E lo facciamo in otto siti distinti, ripristinando il fondale e mettendo in produzione le larve che saranno successivamente rilasciate in mare per il ripopolamento. Nell’ambito del Tirreno stiamo progettando il ripristino della posidonia oceanica in 19 siti, insieme al coralligeno e alla cistoseira.

Queste piante marine, fondamentali per la produzione di ossigeno e la costituzione di habitat in grado di ospitare un notevole numero di specie, non sono mai state ripristinate come siamo in grado di fare oggi. Si prevede il prelievo di piante da praterie in buono stato e la loro ripiantumazione in aree da ripristinare. È un tentativo molto ambizioso che mette l’Italia in una posizione di assoluta leadership internazionale. Stiamo intervenendo anche nel recupero delle reti fantasma abbandonate dai pescatori sui fondali. Queste reti solo in pochi casi possono rappresentare un’opportunità per gli ecosistemi marini, nella maggior parte dei casi creano danni, perché continuano a svolgere la loro funzione di pesca.

Quali sono gli organismi più a rischio di rimanere intrappolati nelle reti?

Purtroppo, in molti casi le reti abbandonate provengono da attività di pesca a strascico su fondali costieri, pertanto gli habitat e la fauna ittica costiera sono quelli più impattati, ma anche le tartarughe marine e altri pesci più grandi possono rimanere intrappolati nelle reti. Se le reti sono poste in fondali profondi vanno a impattare su tutta la fauna ittica. L’ecosistema marino è articolato su più livelli, ogni habitat svolge una sua funzione specifica. Il complesso delle specie va preservato e mantenuto. Una degli obiettivi più importanti del MER è approfondire la conoscenza degli ecosistemi marini. Infatti, mentre gli habitat costieri li conosciamo bene, fino a una profondità di circa 100 metri, quelli di profondità maggiore, dai 200 metri in giù, sono pressoché sconosciuti.

Il MER prevede di mappare 92 monti sottomarini. Finora avevamo svolto un monitoraggio solo su 3 di essi. All’interno di questi sistemi ci potrebbero essere habitat e specie importanti per nuove scoperte, anche in ambito farmaceutico. Potremmo scoprire nuovi principi attivi per la cura di diverse patologie.

Ci sono altri progetti, oltre al MER, che ISPRA sta sviluppando, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, per creare consapevolezza e senso del rispetto dell’ecosistema marino?

Uno dei prossimi progetti, incluso nel PNRR, riguarda la digitalizzazione delle aree protette terrestri e marine. Lo scopo è di far conoscere meglio le risorse e gli ecosistemi presenti nei nostri mari, per attrarre un turismo più consapevole. In Italia abbiamo un patrimonio vasto e meraviglioso che la gente non conosce. Faccio un esempio: nel golfo di Napoli l’attrattiva turistica conosciuta ovunque nel mondo è sicuramente l’isola di Capri, ma pochi sanno che nello stesso golfo esistono due aree marine protette come Punta Campanella e il Regno di Nettuno, dove si può fare snorkeling in modo protetto e sostenibile. Il nostro patrimonio subacqueo non è ancora sufficientemente noto.

Abbiamo uno slogan in ISPRA: “Non si può proteggere ciò che non si conosce”. Dobbiamo creare consapevolezza e sostenibilità. Nelle zone balneari, sulle spiagge in particolare, le persone ormai hanno contezza dei comportamenti da tenere e di quelli che non sono ecosostenibili. Con il mare abbiamo un rapporto tradizionale e duraturo, ma ancora da coltivare. Il mare è certamente un bel tramonto, una brezza, un orizzonte che dona benefici alla nostra mente, ma se non ci si immerge non lo si conosce veramente.

Negli ultimi 20 anni la nautica da diporto è diventata un driver importante in Italia. È vero che le imbarcazioni da diporto possono aumentare l’impatto sull’ambiente marino, soprattutto mediante l’ancoraggio su fondali con habitat di pregio, ma costituiscono anche una porta di accesso per distanziarsi dalla spiaggia e questo incrementa la conoscenza dell’ecosistema marino. Un altro aiuto notevole viene dalla capillare diffusione delle scuole di vela, dove i ragazzi possono iniziare a cimentarsi in alto mare dall’età di 6 anni. Il mare non è solo secchiello, paletta e ombrellone con vista dalla spiaggia. Un ultimo fattore importante è che finalmente molti amanti del mare si approcciano a questo elemento in modo diverso, frequentando le zone marine anche fuori stagione.

Come avete pensato di attirare le persone verso un turismo sostenibile, sulle nostre meravigliose coste?

Diffonderemo i filmati e le immagini di flora e fauna marina anche a livello locale, per far capire alle persone che a pochi metri di profondità ci sono già ecosistemi molto interessanti, con quelle forme e con quelle specie. Vogliamo creare notizia e non soltanto in chiave documentaristica, come quando guardiamo in tv la barriera corallina australiana. È bellissima, ma è anche estremamente lontana da noi. Vogliamo far capire ai cittadini che a pochi passi da loro ci sono, ad esempio, le secche di Tor Paterno al largo delle coste laziali e altri ecosistemi marini in tutto il Mediterraneo, che sono altrettanto spettacolari da visitare.

Vogliamo anche sfatare l’idea che nel nostro mare non ci siano pesci di grandi dimensioni. Invece ci sono: gli squali e i capodogli. Stiamo facendo sì che questo mare sia veramente nostro, di tutti e che tutti lo possano conoscere e rispettare.

C’è poi il ruolo delle Istituzioni, che si stanno muovendo in diversi ambiti, anche con l’istituzione della nuova zona economica esclusiva per l’Italia, che stabilisce i confini delle nostre acque rispetto ai Paesi limitrofi come Francia, Spagna, Grecia e Croazia. Il mare è quell’ambiente che, se ben conosciuto e ben gestito, può dare al genere umano tante risposte, anche in rapporto alla nostra salute mentale, alla cura – ad esempio – dei nostri stati depressivi, con i suoi orizzonti infiniti e la fascinazione e la seduzione del suono delle onde, delle immersioni e del nuoto tra pesci e vegetazione marina. Il mare è un elemento liberatorio.

Posidonia naturaleE come vi approcciate alle nuove generazioni?

ISPRA fa formazione nelle scuole per creare interesse e consapevolezza ambientale nei giovani e giovanissimi. I ragazzi in aula sono coinvolti dai nostri colleghi in diverse attività, portate nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado. Abbiamo creato un gruppo di ricercatori specializzati che spiegano ai ragazzi il moto ondoso, partendo dalla visione del mare dalla spiaggia. Portiamo in aula elementi naturali come le diverse tipologie di sabbia o le stelle marine. E la posidonia oceanica, che non è un’alga come molti ragazzi pensano, ma una pianta marina che ha radici, dà frutti e produce notevole quantità di ossigeno. È importante che i ragazzi possano anche toccare con le loro mani questi elementi, per riconoscerli, apprezzarli ed essere poi capaci di salvaguardarli.

Attualmente i nostri incontri nelle scuole stanno andando così bene che abbiamo più richieste da parte degli istituti scolastici rispetto alla nostra capacità operativa sul campo. Sono i giovani che ci aiuteranno domani a portare avanti e diffondere queste esperienze per la salvaguardia del Pianeta. 

Sappiamo che esistono nuovi e diversi contaminanti che si depositano, danneggiandoli, sui fondali marini e tra questi i farmaci. Come si può invertire questa tendenza negativa?

I farmaci e i personal care products, cioè i prodotti per la cura della persona come i cosmetici, sono tra gli elementi di origine umana che finiscono nei sistemi di depurazione, che non sono stati pensati per rimuovere queste tipologie di contaminanti. Il grosso consumo che si sta facendo in Italia di farmaci e, in particolare, di antidepressivi e ansiolitici sta mettendo a dura prova i sistemi depurativi del Paese, con gravi rischi di inquinamento. Questi elementi, se non vengono rimossi, creano scompensi nei fiumi e nei mari, dove subiscono trasformazioni e impattano negativamente sull’ecosistema marino. Spesso interferiscono con il sistema endocrino degli organismi e producono disfunzioni del loro sistema riproduttivo. Sono particolarmente impattanti e difficili da mitigare.

Attualmente si sta lavorando su nuove tecnologie, affinché le cause si possano rimuovere a monte. Il monitoraggio di questi inquinanti in mare ha dato modo di realizzare uno screening per identificarli. I livelli di presenza dei farmaci in mare stanno aumentando. Vanno fatte azioni preventive. Servono campagne informative per intercettare preventivamente le aree del Paese in cui questo consumo è più pronunciato.

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