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Neurodivergenza

Neurotipico, neurodivergente, neurodiverso: dove sta la differenza

Nei tempi più recenti si parla molto di persone neurodivergenti, soprattutto se messe in confronto con quelle neurotipiche. L’impressione è che esista una sorta di “cervello di riferimento”, una condizione di “normalità” dal quale chi è neurodivergente si discosta. Ma questo cervello “normale” esiste davvero? Le attuali ricerche nelle neuroscienze mostrano sempre più come i cervelli umani anche di individui considerati neurotipici siano molto diversificati tra loro a livello di anatomia, connettività e funzionamento: si parla sempre più di cervelli umani, invece che di uno solo. Per capirci di più, aiuta fare un po’ di chiarezza sull’origine di questi termini e sui recenti progressi scientifici in materia.

 

Neurotipico

Il termine nasce nella comunità autistica verso la fine degli anni ‘90 per contrassegnare persone che non rientrano nello spettro autistico. L’intento iniziale era quasi satirico, un modo per “etichettare” persone senza condizioni neurologiche di nota nella stessa maniera in cui le persone autistiche venivano (e vengono ancora oggi) descritte. Col tempo, il suo utilizzo è entrato a far parte sia del linguaggio scientifico che di quello delle associazioni senza intenti polemici. Oggi, indica non solo persone non autistiche ma qualsiasi persona che non abbia uno sviluppo cerebrale “diverso dalla norma”, ovvero dalla maggiorparte della popolazione.

 

Neurodivergente

Il termine neurodivergente è stato proposto, assieme al termine “neurodiversità” all’inizio degli anni 90 in contrasto alla parola “disorder”, con il quale l’autismo veniva descritto fino ad allora. Indica una persona il cui sviluppo neurologico differisce in maniera più o meno sostanziale dalla “norma”, intesa in questo caso come maggioranza delle persone. Ha valenza descrittiva e clinica, e pone l’attenzione sulle particolari esigenze delle persone divergenti per una maggiore inclusività sociale. Per neurodivergenza, oggi, si intende non solo autismo ma anche disturbi specifici dell’apprendimento, disprassia, sindrome di Tourette, disabilità intellettiva, plusdotazione o ADHD e molto altro. 

 

Neurodiversità

Nato assieme al termine “neurodivergente”, il concetto sottolinea la naturale diversità che può esistere tra i cervelli di persone anche non divergenti o con qualche tipo di condizione patologica. Sposta il focus sulle naturali differenze neurologiche invece che sulle carenze dei singoli, con lo scopo di abbattere barriere e facilitare la partecipazione sociale. Il cervello è l’organo più complesso che abbiamo e le variazioni morfologiche, funzionali e comportamentali che esistono tra persona a persona sono vastissime. Non solo, il cervello cambia anche molto nel corso della vita e il cervello di una persona da giovane non assomiglia a quello della stessa persona da anziana. In questo contesto, il cervello “normale” non si può delineare, poiché le differenze sostanziali tra cervelli di persone neurotipiche possono essere tanto grandi quanto quelle tra una persona neurotipica e una neurodivergente. In tempi recenti le neuroscienze si stanno sempre più dedicando allo studio dei cervelli umani come facenti parte di un ampio spettro di variazione. 

 

La distinzione e l’uso appropriato di questi termini non è solo una questione semantica, ma aiuta a inquadrare le disabilità in un’ottica di maggiore inclusione e comprensione, beneficiando sia le relazioni sociali con individui neurodivergenti sia le teorie scientifiche che se ne occupano. 

 

Bibliografia
  • Sue Fletcher-Watson, Neurodiverse or Neurodivergent? It’s more than just grammar, University of Edinburgh, 2020
  • Hagar Goldberg, Unraveling Neurodiversity: Insights from Neuroscientific Perspectives, Encyclopedia, 2023
  • Chantel Prat, The Neuroscience of You: How Every Brain Is Different and How to Understand Yours, Dutton, 2022

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