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Perché i riti sono così importanti

Ritualità, regolazione emotiva, connessione sociale e performance

Nel giorno di Ognissanti, in Italia e in molti paesi europei si accendono candele in onore dei defunti. Si adornano le tombe con piante e fiori, soprattutto crisantemi, e ci si scambia dolci tradizionali, in una ritualità dalle radici antiche. I riti sopravvivono e resistono allo scorrere del tempo, anche nelle società più avanzate da un punto di vista scientifico e tecnologico, forse perché rendono gli esseri umani più resistenti e resilienti, partecipando attivamente all’evoluzione. Il loro ruolo e funzioni sono ampiamente approfonditi dall’antropologia, psicologia sociale, scienze cognitive, economia comportamentale e dalle neuroscienze. Il rito resta complesso da studiare, perché coinvolge la collettività in esperienze di forte impatto spirituale o percezione di appartenenza, restando fortemente ancorato al contesto socioculturale di riferimento, con difficile riproducibilità in laboratorio. Tuttavia, studi scientifici dimostrano i molti benefici dei rituali sulla regolazione emotiva, sulla connessione sociale e sulla performance.

Natura e origini del rito

Il rito affonda le sue origini nell’infanzia della civiltà e del singolo individuo: sia il bambino sia l’uomo primitivo sono permeati da uno spiccato pensiero magico-rituale, con profonde connessioni con la creatività e la credenza che il gesto rituale possa avere un’influenza causale sul mondo attorno a noi. Pensiamo, per esempio, alle pitture rupestri benaugurali degli uomini preistorici o al tipico animismo e finalismo nei bambini, ossia all’attribuzione di una coscienza a elementi inanimati e alla credenza di una finalità intrinseca in tutti gli eventi.

Il rito è qualcosa di più di una semplice abitudine. Entrambi individuano una serie di comportamenti ripetitivi, ma il rito non produce effetti pratici diretti sul mondo esteriore, ma semmai ha la finalità di generare un effetto simbolico. Tuttavia proprio la sua natura simbolica – dal greco symbállō nel significato di “mettere insieme” – lega il gesto rituale a concetti filosofici, sociali o spirituali, finendo per influire veramente sul mondo esteriore e soprattutto interiore umano. Grazie al valore riconosciuto nel rito, questo diventa catalizzatore di coraggio, speranza o senso di appartenenza, favorendo una consapevolezza incarnata di uno spartiacque psicosociale fra il prima e il dopo il rito (si pensi a un matrimonio o a un battesimo), occasione per esorcizzare la paura del cambiamento e rafforzare l’identità di appartenenza alla comunità.

Con l’evoluzione culturale delle comunità e cognitiva dell’individuo, il rito non sparisce: al contrario, si sedimenta e si fortifica, poiché la ritualità ha una connotazione fortemente sociale e favorisce l’entrata, la permanenza e il percorso evolutivo dell’individuo nel gruppo di riferimento.

 


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Riti: meno stress, dolore e ansia

Uno studio del 2018 annovera tre funzioni psicologiche principali dei riti:

  • il rito supporta la regolazione delle emozioni
  • favorisce il raggiungimento degli obiettivi di prestazione
  • aiuta la connessione sociale.

Come accennato in precedenza, il rito può aiutare a esorcizzare la paura dell’ignoto, per esempio in occasione di grandi cambiamenti di vita, come un matrimonio. La sua funzione si attiva anche nella dimensione personale e più quotidiana, per esempio in occasione di un esame universitario. In vista della prova, il sistema nervoso autonomo è impegnato naturalmente a rilasciare ormoni dello stress, come il cortisolo, per preparare il corpo ad affrontare la sfida-pericolo, con cambiamenti fisiologici anche a livello muscolare, cardiaco e respiratorio. C’è il rischio, tuttavia, che uno stress eccessivo risulti controproducente (distress) e alcune tecnologie mentali risultano fondamentali per modularlo, compresa una ritualità soggettiva e consapevole, per esempio con sessioni di meditazione, preghiera ma anche con una semplice sequenza di piccoli atti ritualizzati e soggettivi.

La capacità di regolare le nostre emozioni è stata testimoniata anche da uno studio del 2014, che riporta come i riti riducano la percezione del dolore anche in caso di perdite significative, come la fine di un amore o un lutto. Un elemento molto interessante è che il beneficio si riscontra anche in persone che non credono allo specifico valore del rito e i ricercatori suppongono che sia da associare a una generale e condivisa percezione di maggiore controllo in una situazione particolarmente stressante. Ulteriori studi hanno dimostrato la capacità dei riti di ridurre sia l’ansia percepita sia quella fisiologica, misurata in termini di variabilità cardiaca.

Flow, performance, resilienza e connessione sociale

I piccoli rituali di preparazione di atleti e sportivi superano la semplice scaramanzia, risultando efficaci, non tanto per favorire l’esito della prova, ma per promuovere l’ottimizzazione della performance, migliorando lo stato di flow, ovvero di assorbimento totale nell’attività, senza distrazioni e con una sorta di isolamento atemporale a favore della concentrazione.

I rituali sono in grado anche di attenuare la risposta neurale in caso di errore e fallimento, aiutandoci a riprogrammare il cervello per affrontare al meglio le sfide e sviluppare resilienza, con conseguente ottimizzazione delle prestazioni, anche lavorative e di squadra.

Il positivo stato di flow favorito dal rituale può coinvolgere anche più individui o gruppi di una comunità, in un’esperienza collettiva in cui si condivide lo stato di arousal e addirittura una sincronizzazione della frequenza cardiaca tra spettatori e partecipanti attivi al rito, registrata scientificamente, per esempio, nelle camminate rituali sui carboni ardenti.

Il rito, insomma, può riuscire a far battere il nostro cuore all’unisono, accorciando le distanze fra le persone e stringendo le maglie del tessuto sociale, rafforzando in definitiva la persona e la comunità, migliorando la salute globale e un senso condiviso di scopo, autoefficacia, impegno e partecipazione.

 

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Bibliografia
  • Bastone, A. (2022). Il ruolo e le manifestazioni del pensiero magico nella prima infanzia. Educare. it–PEDAGOGIA E PSICOLOGIA22(1), 5-10.
  • Hobson, N. M., Bonk, D., & Inzlicht, M. (2017). Rituals decrease the neural response to performance failure. PeerJ5, e3363.
  • Hobson, N. M., Schroeder, J., Risen, J. L., Xygalatas, D., & Inzlicht, M. (2018). The psychology of rituals: An integrative review and process-based framework. Personality and Social Psychology Review22(3), 260-284.
  • Homans, G. C. (1941). Anxiety and ritual: The theories of Malinowski and Radcliffe-Brown. American Anthropologist43(2), 164-172.
  • Lang, M., Krátký, J., & Xygalatas, D. (2020). The role of ritual behaviour in anxiety reduction: an investigation of Marathi religious practices in Mauritius. Philosophical Transactions of the Royal Society B375(1805), 20190431.
  • Norton, M. I., & Gino, F. (2014). Rituals alleviate grieving for loved ones, lovers, and lotteries. Journal of Experimental Psychology: General143(1), 266.
  • Xygalatas, D., Konvalinka, I., Bulbulia, J., & Roepstorff, A. (2011). Quantifying collective effervescence: Heart-rate dynamics at a fire-walking ritual. Communicative & Integrative Biology4(6), 735-738.
Sitografia
  • www.economiacomportamentale.it/2022/12/15/la-psicologia-dei-rituali/
  • nautil.us/the-real-magic-of-rituals-238960/
  • www.inc.com/nick-hobson/neuroscience-says-rituals-rewire-your-brain-to-better-face-failure.html
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