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Cinema e neuroscienze

Il cinema che racconta il cervello, le neuroscienze che studiano gli spettatori

Recentemente abbiamo parlato del rapporto tra cinema ed empatia, e in particolare del ruolo dei neuroni specchio nel farci immedesimare nei personaggi cinematografici e nelle loro storie. Continuiamo a parlare del rapporto tra cinema e neuroscienze, di come il grande schermo descriva il cervello, attraverso la rappresentazione di condizioni psicologiche o stati di coscienza, e di come le neuroscienze studino il cervello degli spettatori, nel cosiddetto neurocinema.

Il cervello come risorsa infinita da sbloccare

Le rappresentazioni di particolari condizioni neurologiche nei film sono raramente accurate dal punto di vista scientifico. Questo tuttavia non significa che non possano essere lo stesso interessanti, e la loro inaccuratezza è spesso in funzione della storia.

Nel thriller Limitless (2011), il protagonista interpretato da Bradley Cooper ottiene accesso a un farmaco speciale, NZT-48, che è in grado di sbloccare il potenziale latente del cervello, di poterlo utilizzare nella sua interezza. Il protagonista diventa in grado di ricordare perfettamente tutti gli eventi e analizzare tempestivamente le situazioni, approfittando di queste nuove capacità per migliorare drasticamente la sua vita. Quando però comincia ad abusare della pillola e a sperimentare assuefazione e vuoti di memoria in astinenza, la situazione precipita.

Su una simile premessa si basa anche il film d’azione Lucy (2014) di Luc Besson: dopo aver inavvertitamente ingerito una droga sperimentale, la protagonista, interpretata da Scarlett Johansson, acquisisce poteri fisici e mentali finora limitati dal suo cervello. Le sue nuove capacità, che usa per sfuggire ai suoi inseguitori, sfociano nel soprannaturale: controllo emotivo, resistenza al dolore, telepatia, telecinesi.

Il falso mito del 10% del cervello

Entrambi i film precedenti si basano su un comunissimo falso mito, quello che l’essere umano utilizzi solo il 10 per cento del suo cervello. L’idea è che, durante la sua normale attività, moltissime aree del cervello siano inutilizzate, e se esistesse un qualche modo per “sbloccarle”, le nostre innate capacità di calcolo, percezione, memoria e risoluzione dei problemi risulterebbero decuplicate. Questo mito, apparentemente generatosi verso la fine dell’Ottocento tra alcuni psicologi, ha subito catturato l’immaginazione di molti autori e si può ritrovare tra le pagine di molti articoli di cultura popolare.

Ed è stato altrettante volte smentito: da analisi tramite scansione cerebrale, risulta in realtà che tutto il cervello viene utilizzato, per praticamente tutto il tempo. Non esistono aree sempre inattive e, se è vero che le nostre capacità cognitive possono essere migliorate, questo incremento non è dovuto all’attivazione di più aree. E in nessuna di queste, in ogni caso, si cela il segreto della telecinesi.

Memorie represse e assenti

Pura fantascienza a parte, ci sono film che scelgono una rappresentazione più realistica del funzionamento del cervello umano. E poiché la memoria è al centro del concetto stesso di storia, questi film hanno proprio la memoria come protagonista. Un esempio è Shutter Island (2010), diretto da Martin Scorsese e con Leonardo DiCaprio e Mark Ruffalo. Una coppia di detective arriva a un’isola usata come manicomio criminale per indagare sulla scomparsa di una paziente.

Mano a mano, il film svela che il detective interpretato da DiCaprio è in realtà a sua volta un paziente del manicomio, che ha ucciso sua moglie, e che ha elaborato un’identità alternativa per sfuggire al senso di colpa e reprimere i suoi ricordi. L’investigazione non è altro che un tentativo, organizzato dallo staff del manicomio, di far riaffiorare quello che è davvero successo. Quello di reprimere i ricordi o crearne di falsi è un meccanismo noto in psichiatria, quando il trauma di un evento è troppo grave per poter essere mantenuto nella memoria cosciente.

Sempre a proposito di ricordi inaffidabili, troviamo un altro esempio in Memento (2000) di Christopher Nolan. Anche in questo caso, dopo un evento traumatico, il protagonista, interpretato da Guy Pearce, soffre di amnesia anterograda: non è più in grado di immagazzinare ricordi di fatti recenti. Deve così affidarsi a note, post-it, foto istantanee e tatuaggi per ricordare ogni mattina cosa è successo e cosa deve fare, in modo da poter rintracciare i responsabili della sua condizione. Anche se la causa dell’amnesia anterograda è legata più a traumi cerebrali o malattie neurodegenerative invece che eventi traumatici, la rappresentazione della condizione è verosimile, e molte persone che ne soffrono nella vita reale utilizzano espedienti simili a quelli mostrati nel film per conservare informazioni.

Condizioni neurologiche e cinema

Che siano centrali o solo accessori alla storia, le malattie neurologiche e neurodegenerative, così come gli stati di coscienza del cervello, sono una presenza frequente in moltissimi film. L’esempio più famoso di una rara condizione neurologica sul grande schermo è Lo Scafandro e la Farfalla (2007), basato sull’autobiografia del giornalista Jean-Dominique Bauby. Il film rappresenta la cosiddetta sindrome Locked-In, nota anche come pseudocoma, una rara condizione nella quale il paziente è perfettamente cosciente di ciò che lo circonda, ma è incapace di muoversi a causa della paralisi totale dei muscoli volontari del corpo, con pochissime eccezioni.

Nel caso di Bauby, questa eccezione erano le palpebre: con queste è stato in grado di comunicare con i propri cari e addirittura scrivere un libro sulla sua esperienza, al ritmo di una parola ogni due minuti per un totale di 200mila battiti di palpebra. Il film, pluripremiato dalla critica e vincitore al Festival di Cannes, ripercorre in maniera abbastanza fedele la vita di Bauby e mostra in maniera commovente sia i limiti del nostro cervello, sia la sua straordinaria resilienza di fronte alle avversità.

Neurocinema, il cervello degli spettatori

Se il cervello dei personaggi è al centro delle trame di molti film, il cervello degli spettatori è protagonista del cosiddetto neurocinema, la scienza che studia come la visione di particolari scene cinematografiche influenza il nostro cervello. L’idea di analizzare cosa succede al cervello umano durante la visione di un film comincia ad affermarsi verso gli anni 2000, con l’arrivo di tecniche di scansione cerebrale sempre più accessibili. In questa decade hanno inizio i primi studi nei quali veniva monitorata, tramite risonanza magnetica funzionale, l’attività cerebrale dei partecipanti alla visione di scene di film, oltre che la loro reazione emotiva. Ne è emerso che alcune scene stimolano diverse aree cerebrali, e che la risposta emotiva è paragonabile in molti spettatori differenti.

I filmografi avevano vagliato queste intuizioni già da moltissimi anni, per esempio proponendo l’esistenza del cosiddetto “Effetto Kulešov“, che prende il nome da un cineasta russo che per primo lo ha messo in pratica, agli inizi del Novecento. Secondo questo fenomeno, utilizzando tecniche di montaggio, è possibile giustapporre immagini differenti una dopo l’altra in una scena: dall’associazione tra le due immagini (per esempio, una persona che guarda la camera, e l’inquadratura su un piatto di pasta) uno spettatore è in grado di ricavare significati aggiuntivi, non inclusi nelle due scene originarie.

Tra neuromarketing ed educazione

Oggi, con l’utilizzo di eye-tracker e altri metodi per monitorare l’attenzione, gli scienziati sono in grado di calibrare con sempre maggiore precisione scene cinematografiche che inducono specifiche emozioni in chi le guarda. Queste tattiche, che stanno sfociando in vero e proprio neuromarketing, sono sempre più utilizzate dalle agenzie pubblicitarie, che cercano di orientare i processi decisionali d’acquisto, proprio attraverso le scene del cinema e il loro effetto sul nostro cervello.

Sono evidenti le implicazioni etiche ed educative del cinema, che può giocare un ruolo costruttivo, per esempio nella diffusione di consapevolezza sull’importanza dell’intelligenza emotiva, come nel caso del film d’animazione Inside Out, che ha portato all’onore del grande schermo l’universo sfaccettato delle emozioni degli adolescenti, sottolineandone le funzioni adattive ed evolutive.

 


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Bibliografia
  • Lego, S. (1996). Repressed memory and false memory. Archives of psychiatric nursing10(2), 110-115
  • Bauby, J.D. (2015). Lo scafandro e la farfalla. Ponte alle Grazie
Sitografia
  • https://www.snopes.com/fact-check/the-ten-percent-myth/
Immagini
  • Foto Lo scafandro e la farfalla

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