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Recitazione e neuroscienze

Cosa succede nel cervello degli attori? Il senso alterato dell’identità e la cognizione sociale

Torniamo a parlare di neuroscienze e cinema e, in particolare, della recitazione: l’arte che ci permette di interpretare altre identità e dare alla luce storie che hanno per protagonisti “altri” rispetto a noi. Come riescono le attrici e attori professionisti a entrare nella parte in modo da essere così convincenti, e che cosa ci dicono le neuroscienze su questa loro capacità?

Le aree cerebrali coinvolte nella recitazione

Esaminare scientificamente il cervello di un attore è molto meno semplice di quanto si pensi. Mentre si può analizzare la nostra risposta alla musica o alla pittura in maniera relativamente facile, utilizzando elettrodi o macchinari per la risonanza magnetica, recitare in maniera convincente è un’esperienza più attiva, che coinvolge tutto il corpo.

Il tipico movimento di un attore durante la performance è impossibile da replicare all’interno della camera ristretta della risonanza magnetica, e rende la lettura tramite sensori corporei poco affidabile. Per queste ragioni tecniche, la recitazione ha ricevuto meno attenzione dal mondo della ricerca rispetto ad altre forme d’arte. Tuttavia, alcuni studi recenti sono riusciti a fare luce su quello che succede nel cervello degli attori professionisti. Anche se effettuati principalmente su attori teatrali, i loro risultati sono applicabili anche al grande schermo.

La neuroscienza di Romeo e Giulietta

Nel 2019, uno studio dell’Università di McMaster in Canada ha utilizzato tecniche di risonanza magnetica per esaminare il cervello di attori teatrali. Intitolato “La neuroscienza di Romeo e Giulietta”, l’esperimento consisteva per l’appunto di chiedere ai partecipanti di rispondere di volta in volta a delle domande da diverse prospettive: come loro stessi, e come uno dei due personaggi del celebre dramma shakespeariano, immedesimandosi nelle rispettive parti.

I movimenti e la mimica facciale sono stati limitati il più possibile per evitare di inficiare la lettura, quindi la recitazione è stata tutta basata sull’immedesimazione. Prima di iniziare, i partecipanti hanno fatto delle prove proprio per entrare meglio nel personaggio.

I risultati sono stati molto interessanti: invece che un’attivazione specifica di determinate aree quando si interpreta un’altra persona, i ricercatori hanno osservato una loro inibizione. In particolare, il network corticale del lobo frontale e la corteccia prefrontale dorso e ventromediale hanno sperimentato una considerevole riduzione dell’attività. Queste aree sono coinvolte nel senso di sé e nella nostra identità cosciente, suggerendo che gli attori “si perdano” davvero nell’identità di un’altra persona quando interpretano una parte.

Nel frattempo, i ricercatori hanno anche rilevato un aumento dell’attività cerebrale del precuneus – area coinvolta nel processare la memoria episodica e le informazioni spaziali visive. Secondo lo studio, questa attivazione ha a che fare con quel senso di “doppia coscienza” tipico della recitazione drammatica.

 


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Il senso alterato d’identità

Uno studio dell’University College London è arrivato a simili conclusioni nel 2022, questa volta utilizzando sensori indossabili avanzati. Lo scopo era indagare il senso alterato di identità sperimentato dagli attori, sempre coinvolti in una messa in scena di Shakespeare. Durante la performance, in maniera inaspettata, i ricercatori chiamavano per nome gli attori ad alta voce, per registrare la loro reazione. Normalmente, sentire chiamare il proprio nome attira molto l’attenzione, e attiva la corteccia prefrontale anteriore sinistra del cervello, un’area associata all’autoconsapevolezza. Tuttavia, questo non accadeva negli attori, suggerendo che fossero in effetti in grado di sopprimere la propria identità durante la performance. Quando non stavano recitando e sentivano il loro nome, invece, la loro corteccia reagiva in maniera normale e aspettata.

Come la recitazione migliora la cognizione sociale

Lo stesso studio ha anche esaminato cosa succede tra attori che interagiscono tra loro sul palco quando interpretano una parte. Hanno scoperto che, quando lavorano in sintonia durante la recitazione, i cervelli degli attori attivano aree del gyrus frontale interiore e della corteccia frontopolare destra, aree associate ai meccanismi di interazione sociale e pianificazione. L’attivazione sincrona non coinvolgeva il battito cardiaco o il respiro, suggerendo che questa coordinazione fosse in primo luogo cerebrale.

La sintonia sviluppata dagli attori su un palcoscenico o di fronte a una telecamera è di particolare interesse per le neuroscienze in quanto collegata alla cognizione sociale. Recitare è una faccenda complessa, che coinvolge processi cognitivi legati al linguaggio, alla memoria, al controllo delle proprie emozioni e all’empatia. Per questo motivo, imparare a recitare potrebbe agire e modificare i rispettivi circuiti celebrali, e migliorare le proprie capacità di cognizione sociale. Memorizzare una parte, il method acting e l’improvvisazione teatrale, soprattutto in compagnia di altre persone, sono infatti spesso infatti usati anche in contesti terapeutici e sono in grado di migliore il benessere psicologico e la creatività.

 

Bibliografia
  • Steven Brown et al, (2019), The neuroscience of Romeo and Juliet: an fMRI study of acting, Royal Society Open Science, https://doi.org/10.1098/rsos.181908

  • Dwaynica A. Greaves et al, Exploring Theater Neuroscience: Using Wearable Functional Near-infrared Spectroscopy to Measure the Sense of Self and Interpersonal Coordination in Professional Actors, Journal of Cognitive Neuroscience (2022). DOI: 10.1162/jocn_a_01912

  • Brennan McDonald et al, (2020), Could Acting Training Improve Social Cognition and Emotional Control?, Sec. Cognitive Neuroscience, Volume 14 – 2020, https://doi.org/10.3389/fnhum.2020.00348

 

 

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