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Come il gioco aiuta l’apprendimento e migliora la vita (a tutte le età)

Neuroscienze del giocare: autoregolazione e socialità

Il gioco: attività che molti adulti vorrebbero fare, e che tutti i bambini dovrebbero fare. Il suo ruolo cruciale nell’apprendimento, nello sviluppo fisico e nella costruzione delle relazioni sociali è comprovato ormai da tempo a livello scientifico. Senza giocare si cresce male, e la sua importanza e attrattiva permane anche in età adulta. Il gioco assume miriadi di forme: sport, giochi da tavolo, competizioni, uso di giocattoli, interpretazione, videogames. Questa diversificazione lo rende difficile da studiare in maniera univoca. Nonostante da tempo sia oggetto di esame da parte delle neuroscienze, sappiamo ancora poco sui circuiti cerebrali coinvolti nei meccanismi di gioco. Perché giochiamo, in che modo il gioco aiuta ad apprendere quando siamo bambini, e perché piace così tanto anche agli adulti?

Il gioco negli animali e le sue origini evolutive

Gli esseri umani non sono gli unici a giocare. Comportamenti di gioco, più frequenti fino alla pubertà e più rari negli individui adulti, sono stati osservati in moltissimi mammiferi e uccelli. Ma anche in rettili, anfibi, pesci e invertebrati. Proprio l’osservazione degli animali sociali ci fornisce degli indizi sulle possibili origini dei comportamenti di gioco e il suo valore per la sopravvivenza.

Giocare è un’attività energeticamente dispendiosa. Non solo: durante il gioco ci si può anche far male, distrarsi ed essere attaccati da predatori. Allora perché lo si fa? I comportamenti di gioco spesso simulano situazioni reali (caccia, lotta, fuga etc.) che l’animale si troverà ad affrontare in seguito una volta adulto, ma in una situazione in cui i rischi sono mitigati. Questa attività andrà così a formare quei collegamenti cerebrali necessari per sapere cosa fare una volta adulto: si impara a mordere, a scalciare, a inseguirsi.

Socialità e piacere

Il gioco va anche a stimolare i rapporti sociali (e relativi circuiti cerebrali) con altri individui, relazioni che saranno la base delle interazioni sociali del gruppo. Giocando da piccoli si impara a sopravvivere da grandi. I potenziali vantaggi, quindi, superano gli svantaggi come il dispendio energetico, ed è per questo che il comportamento di gioco viene rinforzato dal nostro cervello, che ci ricompensa rendendolo piacevole.

Numerosi studi in laboratorio sui topi, il cui comportamento di gioco è ben codificato e può essere regolato, hanno mostrato come questo sia collegato al sistema di ricompense del sistema nervoso. Ormoni come dopamina, endocannabinoidi, noradrenalina vengono rilasciati durante il gioco, in particolare in quello sociale, da strutture come l’amigdala, il nucleus accumbens, e la corteccia prefrontale. Il ratto è un modello molto studiato, ma non necessariamente esemplificativo di ogni animale. Per questo motivo, studi su altri animali ci stanno offrendo sempre più delucidazioni sui meccanismi neurobiologici del gioco.

Gioco e apprendimento

Il concetto di “imparare giocando” è ben noto sin dagli albori della pedagogia, e stimolare il gioco nei bambini offre benefici innegabili per il loro sviluppo. Secondo Jacqueline Harding, psicologa della Stanford University e autrice del libro The brain that loves to play, il gioco in età infantile è essenziale per creare quelle connessioni neuronali necessarie all’apprendimento. Se l’attività di gioco è divertente, queste connessioni sono rinforzate a livello emotivo, stimolando memoria, motivazione e attenzione. “È come se il cervello dei bambini sia progettato per il gioco, e ogni deviazione dalla loro tendenza naturale a voler giocare li priva di esperienze e opportunità essenziali per la crescita”, dice Harding, “Dobbiamo superare la dicotomia tra gioco inteso come attività ricreativa e separato dai momenti di apprendimento, per promuovere invece una visione olistica in cui queste attività sono compenetrate”.

Giocando, il cervello infantile impara a essere flessibile: sperimentando situazioni nuove e stimolanti, ne riconosce i tratti comuni e le differenze, e sarà così preparato a reagire a nuovi problemi quando questi si presenteranno. Il gioco aiuta anche a ridurre lo stress e regolare le emozioni, un elemento importante per sviluppare i rapporti sociali sia da piccoli che da grandi.

 


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Il gioco in compagnia

Giocare coi propri genitori rinforza questa importantissima relazione, così come giocare con altri bambini della propria età: come per gli altri animali, col gioco si sperimentano e si imparano a gestire le relazioni coi propri simili. Per questo motivo, il gioco di tipo sociale, in compagnia, va costantemente incentivato: “Giocare in isolamento, come spesso è purtroppo successo durante l’ultima pandemia, non offre occasioni sufficienti per lo sviluppo”, aggiunge Harding. Oggi molti videogames molto popolari tra bambini e adolescenti si giocano online, sia con sconosciuti che con gruppi di amici, e non sono quindi più attività solitarie come lo erano un tempo. Ma il gioco all’aria aperta, in compagnia, rimane insostituibile per una crescita corretta.

Rimanere bambini

Si pensa che il gioco sia una faccenda da piccoli: forse per stigma sociale, da adulti non si dice che si gioca, ma che si hanno degli hobby. Si tratta di uno stigma che andrebbe superato: sono sempre le neuroscienze a suggerire come il gioco da adulti (e soprattutto da anziani) porti benefici per la salute mentale e cerebrale. Comunque lo si chiami, il gioco rimane un’attività importante, che permette di regolare lo stress, coltivare rapporti sociali in base a interessi comuni e scoprire cose nuove.

Il gioco di squadra migliora la tolleranza e la cooperazione, sviluppando il problem solving. Quello di ruolo permette di esplorare situazioni in maniera creativa ed è utilizzato anche in ambito terapeutico, nella gestione della paura e della depressione. Giochi da tavola come dama, domino e bingo, molto popolari tra gli anziani, aiutano a mantenere la mente allenata e a combattere l’isolamento sociale. Numerosi studi sugli over 60 hanno mostrato un’associazione tra gioco regolare e miglioramento della salute globale e qualità della vita. Anche quando si smette di crescere, il gioco dovrebbe continuare a rimanere un elemento costante della nostra vita.

 


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Bibliografia
  • J.M.J. Vanderschuren et al, (2016) The neurobiology of social play and its rewarding value in rats, Neuroscience & Biobehavioral Reviews, Vol 70, pg 86-105, https://doi.org/10.1016/j.neubiorev.2016.07.025
  • Jacqueline Harding, (2023), The Brain that Loves to Play: A Visual Guide to Child Development, Play, and Brain Growth, Routledge
  • Neale et al, (2018), Toward a Neuroscientific Understanding of Play: A Dimensional Coding Framework for Analyzing Infant–Adult Play Patterns, Front. Psychol, vol 9, https://doi.org/10.3389/fpsyg.2018.00273
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