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Il gioco, uno straordinario supporto all’apprendimento

All’interno del sistema limbico del nostro cervello, sede delle pulsioni e delle emozioni, il lobo limbico si trova immediatamente intorno al corpo calloso ed è composto da giro sottocalloso, giro paraippocampale e giro del cingolo. Proprio quest’ultimo, secondo la neurofisiologia, sarebbe il responsabile di uno dei comportamenti fondamentali allo sviluppo dei mammiferi ed in particolare dell’uomo, ovvero lo stimolo al gioco.

Il Journal of Comparative Psychology ha pubblicato una ricerca che mostra come nelle specie più evolute esista una relazione tra la tendenza a giocare dei cuccioli e la grandezza del cervello dell’intera specie. E il cucciolo d’uomo, il mammifero più sviluppato, non fa eccezione. Il suo cervello plastico e flessibile trova nel gioco la palestra ideale per affacciarsi alla vita.

La ricerca etologica ha iniziato ad interessarsi agli effetti del gioco prima sugli animali e poi sugli esseri umani già dagli inizi del 900 con i lavori dello psicologo tedesco Karl Groos. Secondo le sue teorie il gioco è uno degli strumenti della selezione naturale, attraverso il quale i piccoli delle specie più progredite avviano il loro percorso di sviluppo cognitivo e motorio dando forma ai comportamenti che avranno in futuro. Questo rende la pratica ludica una risorsa unica e indispensabile nella crescita del bambino.

La necessità di giocare si lega soprattutto a due zone del cervello umano: il lobo frontale per quanto riguarda i processi decisionali e il controllo degli impulsi e il cervelletto, responsabile del coordinamento dei movimenti. Questa pratica favorisce lo sviluppo di nuove connessioni nervose e non è un caso che il periodo di maggior propensione al gioco dei bambini coincida con gli anni del loro maggiore sviluppo cerebrale. Questi aspetti sono decisivi nei suoi primi anni di vita in cui si trova nella fase della pura esplorazione della realtà che lo circonda.

Lo psicologo Jaak Panksepp della Washington State University ha scoperto che durante l’attività ludica si sviluppa una proteina che è responsabile del monitoraggio e della pianificazione futura. Il gioco, infatti, può essere definito come la lente attraverso cui il bambino vede la realtà, nella quale sperimenta le prime interazioni, strategie e regole comportamentali. Le esperienze fatte in questa fase di vita, infatti, sono una vera e propria “impalcatura d’apprendimento” sulla quale si baseranno tutte le attività pedagogiche future.

Gioco motoriogioco supporto

Nei i giochi che comprendono un’attività motoria, ad esempio, i bambini apprendono in modo naturale dei principi base che condurranno la propria crescita e l’interazione fisica con gli altri. La percezione dello spazio, la misurazione della forza e la coordinazione sono solo alcuni dei benefici di questo tipo di attività ludiche, che permettono al bambino di approcciare anche aspetti che afferiscono alla sfera emotiva come la comprensione delle regole, la giustizia, la vittoria e la sconfitta.

Da questo punto di vista, infatti, grazie al gioco i bambini iniziano ad entrare in contatto con il proprio mondo interiore. Attraverso quest’esperienza il piccolo esplora emozioni come la consapevolezza di sé, delle proprie capacità e obiettivi da raggiungere. Nell’interazione con gli altri si sviluppano anche pratiche empatiche come la comprensione delle intenzioni altrui, l’importanza del lavoro di squadra e dell’adattarsi ad improvvisi cambiamenti, quegli schemi di ragionamento che la psicologa Alison Gopnik chiama “what if scenarios” (cosa accade se…)

Il primo punto di contatto tra il mondo interiore e quello esteriore del bambino è rappresentato dai sensi, attraverso i quali percepisce immagini, suoni, odori e sapori del mondo. Queste sensazioni in età infantile contribuiscono a creare la sua immagine della realtà, a raccogliere gli elementi che lo aiuteranno a comprendere le leggi che governano il mondo.

Comprendere come siamo fatti noi e il mondo che ci circonda è uno dei principi cardine della pedagogia montessoriana. Maria Montessori nel suo lavoro “Educare alla libertà” spiega quanto “l’educazione ai sensi” sia una tappa non solo importantissima, ma anche propedeutica ad attività più complesse per lo sviluppo del bimbo.

I materiali ludici montessoriani, infatti, prevedono un raggruppamento per tipo di materiale, forma, colore, suono, odore o sapore. Interagendo e giocando con gli oggetti il bambino riesce a catalogare la realtà che lo circonda e le sue differenze, come liscio- ruvido, leggero-pesante, caldo-freddo ed altre ancora. In questo modo potrà su base statistica fare di volta in volta delle ipotesi sul mondo e su come funziona, acquisendo le idee operative necessarie all’elaborazione del pensiero astratto.

Gioco strategico

Particolare importanza in questo senso assumono i giochi di immaginazione, quelli nei quali il bambino ha la possibilità di sperimentare ed esplorare tutte quelle attività che faranno parte della sua vita da adulto. Pensieri strategici, risoluzione dei problemi e comprensione dei ruoli sono solo alcuni degli aspetti che rendono questo tipo di attività ludica una miniera d’oro per le capacità cognitive ed emotive dei bambini. Durante questo tipo di attività, nelle quali spesso i bambini assumono i ruoli dei personaggi delle fiabe o semplicemente giocano a fare i grandi, sperimentano le interazioni sociali e le pratiche comportamentali che incontreranno nella loro vita adulta, alimentando quella “fantasticheria” dell’età infantile che Sigmund Freud ritrovava nella mente dei poeti.

A tal proposito numerosi studi confermano i benefici che le abilità comunicative traggono dai giochi d’immaginazione. Nel suo studio “Playing at home: the talk of pretend play”, Jane Katz spiega come la partecipazione al gioco immaginato negli anni della scuola materna è correlata ad elevate abilità di alfabetizzazione durante le scuole elementari.

Gioco non strutturatogioco supporto

L’ambiente scolastico è anche il luogo dell’esperimento del professor Paul Howard-Jones dell’Università di Bristol sul gioco e il pensiero creativo. I 52 bambini inglesi oggetto dello studio sono stati divisi in due gruppi. Al primo è stato permesso di giocare per 25 minuti mentre l’altro copiava dei testi alla lavagna. Successivamente è stato chiesto a tutti i bambini di creare un collage con i materiali forniti dagli insegnanti. La valutazione dei lavori ha mostrato un significativo effetto positivo del gioco “non strutturato” sulla creatività.

I numerosi studi confermano l’importanza del gioco e soprattutto la grande attenzione che bisogna dedicare alla pratica ludica. Durante l’età dello sviluppo, infatti, il gioco si mostra come una risorsa d’apprendimento infinita alla quale non si può rinunciare. Per i bambini, soprattutto nei loro primissimi anni, gioco e vita si sovrappongono e avanzano di pari passo.

Lo pensava anche lo scrittore e filosofo francese Michel de Montaigne che con questo suo pensiero, di oltre cinquecento anni fa, sembra dare un consiglio proprio in questo senso a genitori e insegnanti: “I giochi dei bambini non sono giochi, e bisogna considerarli come le loro azioni più serie.”


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Bibliografia
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