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Emozioni: comprendere, educarsi, educare

Cosa sono le emozioni? L’etimologia della parola ha una derivazione latina, da emotus, participio passato del verbo emovere, letteralmente “portare fuori, muovere, scuotere”. Oggi sappiamo che l’emozione è qualcosa di più rispetto alla naturale espressione dei propri stati interiori e che ci sono molti processi che concorrono alla loro formazione ed espressione.

Infatti, assumendo un punto di vista neuropsicologico, possiamo considerare l’emozione come uno stato mentale connesso sia a stimoli interni che esterni, associato a modificazioni psico-fisiologiche. In questa direzione si è mossa la ricerca di Joseph LeDoux, uno dei più importanti studiosi contemporanei di neurobiologia. Indagando il percorso dei processi emotivi, infatti, ha notato che nella formazione delle emozioni sono coinvolti aspetti muscolari che producono importanti effetti di ritorno, capaci di modificare lo stato emotivo. In questo senso, l’emozione si presenta come un vero e proprio ponte comunicativo tra mente e corpo.

Importanti studiosi, tra i quali gli statunitensi Paul Ekman e Robert Plutchick, hanno codificato 6 emozioni di base: felicità, tristezza, disgusto, paura, collera e sorpresa. Dalle combinazioni di queste se ne generano poi altre come l’allegria, l’ansia, la vergogna, la gelosia o la delusione. Tuttavia ci sono alcune culture che ampliano di molto la gamma delle nostre emozioni. Secondo il pensiero buddista, ad esempio, ne esistono circa 84.000 (D. Goleman, Dalai Lama “Emozioni distruttive”), molte delle quali sconosciute alla maggior parte delle persone, che sono abituate a confrontarsi solo con alcune di esse. (Paoletti, “Comprendere le Emozioni”)

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Considerando sia le “occidentali” emozioni di base, sia la più vasta gamma descritta dalla filosofia buddista, possiamo trovare l’origine comune delle emozioni nel processo innescato dalla relazione bisogno-aspirazione (Paoletti, “Comprendere le Emozioni”). Partendo da questo punto di vista, le emozioni si potrebbero già suddividere in due grandi categorie: quelle che supportano la crescita dell’individuo e il suo miglioramento, che potrebbero essere definite “positive”; quelle che sono d’ostacolo a tale processo, che chiameremo invece “negative”. Il che ci porta alla necessità di ri-definire ciò che si intende comunemente positivo o negativo. Ad esempio potremmo dire, semplificando alquanto, che per un atleta che si prepara per le olimpiadi un’emozione che lo portasse a distrarsi dal suo training, come il desiderio di riposarsi o andare in vacanza, potrebbe essere “negativa”.

I nostri obiettivi a breve, medio e lungo termine sono quindi fondamentali per iniziare a orientare le nostre emozioni. Per la gestione di esse è fondamentale “lavorare per obiettivi”. L’obiettivo, infatti, ha una funzione organizzante nei confronti delle nostre emozioni. Basti pensare a situazioni nelle quali per raggiungere un determinato scopo, non sentiamo la stanchezza o la tristezza semplicemente perché decidiamo di non volerle sentire. Questa autoregolamentazione emozionale è proprio il processo grazie al quale gli esseri umani riescono ad orientarsi nella vita dando un senso alle proprie emozioni, in vista di uno scopo finale.

L’emozione in tale ottica sembra un processo collegato direttamente alla capacità di scelta, o meglio al trascegliere. Ci troviamo di fronte, quindi, alla continua relazione tra “io attuale” e “io ideale” che pone l’uomo nella posizione di poter continuamente scegliere di andare verso il miglioramento oppure fermare, per un momento, la sua crescita.

Le emozioni, quindi, sono direttamente connesse ai processi decisionali che portano al manifestarsi delle nostre azioni. Questi percorsi mentali sono guidati dalla combinazione tra sensi, emozioni e capacità riflessiva o critica. Tuttavia non sempre quest’ultima si manifesta, perché sia presente è necessario inserire uno spazio di comprensione, uno spazio vuoto. E’ in questo luogo, che potremmo definire elettivo, che è possibile inserire la scelta nel circuito sensazioni-emozioni-pensieri.

Queste dinamiche rendono evidente quanto nella vita dell’individuo, la comprensione, intesa come spazio di consapevolezza, sia centrale per la gestione delle emozioni. Infatti sono proprio l’orientamento e la tendenza a migliorarsi che portano l’individuo a sentire la necessità di uno spazio neutro che lo supporti nella creazione di un ponte di senso tra sollecitazione e risposta. In questo spazio è possibile decidere e avere un certo “dominio” delle proprie emozioni.

La capacità di comprendere le emozioni influenza la qualità della nostra esistenza, ma anche quella delle persone che ci circondano. Pensiamo, ad esempio, all’influenza che possono avere i comportamenti di un genitore sui propri figli.

Nel testo “La cultura dell’educazione”, lo psicologo cognitivo Jerome Bruner ha evidenziato i processi formativi di base che regolano l’apprendimento dei bambini. Uno di questi è l’apprendimento per imitazione, secondo il quale il bambino ha le capacità di riconoscere un comportamento e di riprodurlo.

In tale visione, i comportamenti di un genitore che ha la gestione delle proprie emozioni e le orienta verso il miglioramento, vanno ad incrementare di riflesso il potenziale del bambino. Quindi, se il genitore impara a comprendere le proprie emozioni, anche il bambino imparerà a farlo, sin da subito.

Lo psicologo John Gottman, definisce l’educazione dei bambini all’emozione “allenamento emotivo”, e lo struttura in 5 fasi: diventare consapevoli delle emozioni del bambino; riconoscere nelle emozioni opportunità di intimità e insegnamento; ascoltare con empatia e condividere i sentimenti del bambino; aiutare il bambino a trovare le parole per esprimere le emozioni che prova; porre dei limiti entro i quali cercare soluzioni ai problemi. Tutte azioni che senza uno spazio vuoto, di consapevolezza, è alquanto difficile mettere in campo.

Attraverso questo tipo di dinamiche il bambino diventa capace di imparare a comprendere e gestire tutta la vasta gamma dei sentimenti, di esprimerli con le parole e rispondere alle situazioni di disagio. Le indagini condotte sui bambini emotivamente allenati hanno rilevato che sviluppano maggiore stima di sé, capacità d’apprendimento e socializzazione più elevate.

Senza l’elemento emotivo, la nostra parte cognitiva rimarrebbe praticamente bloccata. Per questo è importante educarsi ed educare alle emozioni guadagnando il luogo della non identificazione. Riconoscere le emozioni, saperle nominalizzare e collocare nel proprio mondo interiore significa saperle utilizzare ed orientarle correttamente per raggiungere i nostri obiettivi e per alimentare le nostre aspirazioni. Per far questo è indispensabile sviluppare una visione di costante crescita e miglioramento personale e sociale.

Bibliografia

 

  • Gardner H. (1987) Formae mentis: saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano.
  • Lomas J., Stough C., Hansen K., Downey L. A. (2012), Brief report: Emotional intelligence, victimisation and bullying in adolescents, Journal of Adolescence, 35, 207–211.
  • Paoletti, P. (2009). Alla scoperta delle emozioni. Gli occhi di un adolescente incontrano il mondo. Infinito Edizioni.
  • Paoletti, P. (2019). L’intelligenza del cuore. BUR.
  • Paoletti, P., Ben-Soussan, Emotional Intelligence, Identification, and Self-Awareness According to the Sphere Model of Consciousness. The Science of Emotional Intelligence, S. G. Taukeni (Ed.), Doi: 10.5772/intechopen.98209
  • Paoletti, P.; Soussan, T. D. B. (2019). The sphere model of consciousness: from geometrical to neuro-psycho-educational perspectives. Logica Universalis, 13(3), 395-415. https://doi.org/10.1007/s11787-019-00226-0

 

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